Milano. Nel doppio incrocio ligure-laziale tra Inter e Milan, protagonisti del venerdì di passione calcistica, si snoda probabilmente lo svincolo scudetto. Perché Pioli, di pari passo con Inzaghi, si ritrova davanti prima il Genoa riverniciato da Alexander Blessin, poi la Lazio di Sarri che ha ritrovato gioco e gol con l'intermezzo straordinario del derby decisivo di coppa Italia per stabilire la prima finalista del torneo. Sono i dieci giorni di fuoco, insomma. In condizioni del genere, come nel ciclismo per la volata dell'ultimo chilometro, bisognerebbe recuperare le migliori energie, buttare via la borraccia vuota, strizzare l'occhio a qualche sodale e spingere forte sui pedali per non farsi staccare. E invece il Milan, per restare in una metafora non calcistica, ha un po' le gomme sgonfie e in particolare non può disporre del profeta del suo rinascimento più recente, Zlatan Ibrahimovic, a lungo fermo per i suoi acciacchi e adesso bloccato da un sovraccarico al ginocchio sinistro.
I consigli per l'addio, sull'argomento, si sprecano. Totti gli ha raccontato la propria esperienza diversa per i rapporti umani con il tecnico e il club, Nocerino ha ricordato erga omnes che «è meglio avere Zlatan per 20 partite che un altro per 40» quasi a rivendicare l'utilità del suo ex sodale pure ridotto a un così ridotto contributo. Stefano Pioli, il miglior conoscitore della realtà, ha spiegato che «fa tanta differenza averlo specie in casa, lui farà la scelta migliore e noi saremo dalla sua parte» e la frase ha avuto il sapore agro-dolce che cela magari l'annuncio imminente di una resa dinanzi alle reazioni del suo fisico.
Che il Milan di questi tempi magri - quanto a gol segnati - abbia un disperato bisogno di Ibra, è documentato non soltanto dai due recenti 0 a 0 ma in particolare dagli stenti di Leao, Diaz e Messias che il tecnico continua a difendere a parole assolvendo a un compito di capo-gruppo e di guida spirituale. Non ha altro di meglio a disposizione e verrebbe già da considerare manna caduta dal cielo il recupero di Rebic (non Castillejo fermato da dolori alla caviglia, non più affaticamento muscolare) oltre quello di Bennacer che dal giorno del ritorno a Milano dalla coppa d'Africa è stato - con Tonali - il centrocampista più importante e decisivo.
«Sappiamo cosa ci sta mancando, sembra poco ma che poco non è» è la frase simbolo di Pioli, a dimostrazione che da questo Milan sta ricavando il massimo e forse un pezzo in più. Perciò alla fine sprona tutti a trovare il famoso guizzo e accarezza l'anima del Milan con quella frase «ci crediamo perché siamo forti» che appare più un atto di fede.
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