Due match point, rimasti lì appesi. Con la gente già con gli occhi lucidi, Mirka con la testa tra le mani, la Storia del tennis pronta a scrivere il capitolo finale. Due match point, svaniti per centimetri, finiti nella polvere di una riga, quando il tracciante di Novak Djokovic ha spento il sorriso di tutti. Quinto set, 8-7, 40-15: resterà il momento in cui il tempo ha cambiato il suo corso. In cui Roger Federer poteva fare l'ennesimo miracolo. «Resterà comunque un match indimenticabile» gli hanno detto alla fine. «Io vorrei dimenticarlo».
Novak Djokovic ha vinto il suo quinto Wimbledon (eguagliati Borg e Doherty) perché è stato epico, Roger Federer l'ha perso perché l'epica del tennis prevede un eroe alla volta. A volte quello sbagliato. Novak che aveva tutti contro, come sempre, ieri ancor di più. E non c'è niente di più epico che prendersi i buu della gente, il warning dall'arbitro e uscire dalla lotta con la coppa d'oro in mano. Dopo la finale più lunga di sempre, 4 ore e 57 minuti, e il punteggio più strano di sempre: 7-6, 1-6, 7-6, 4-6, 13-12. Perché quest'anno a Wimbledon hanno messo il tie-break un po' dove volevano loro (sul 12 pari dell'ultimo set) e puntualmente è finta come loro pensavano.
E allora: il boato. Bastava stare fuori dalla porta per capire chi aveva appena fatto il punto. Troppo forte la voglia della gente, troppo forte però l'orgoglio del campione serbo. Una partita che ha raccontarla servirebbe un romanzo, con quel set finale dentro il quale c'è stato tutto quello che il tennis può offrire. Quei due match point e il cuore di tutti che sobbalzava a ogni colpo. A ogni respiro. E invece: «Almeno ho dato la possibilità a tutti di capire che si può arrivare a 37 anni così», ha provato a scherzare alla fine Federer. «E per come sto in piedi dopo tutta questa fatica sono sicuro che lo potrò fare per altri 37 anni». Ma il suo sguardo era spento, come quello di tutti.
Intanto Djokovic si guardava intorno sfidando la tristezza comune, la qualità che sempre gli è servita per riuscire a ribattere tutto. Anche quelle palle che noi umani troviamo irraggiungibili. Alla fine, dopo l'ultima steccata dell'acerrimo nemico, si è fermato in campo per guardare tutti negli occhi, ha preso un pezzettino di quell'erba che ha conquistato per la quinta volta, ha esultato cacciando un urlo. Perché per giocare sempre contro tutti e vincere, ci vuole talento ma anche un pizzico di follia: «È stata la partita più eccitante alla quale ho partecipato ed essere qui a festeggiare dopo quei due match point è irreale». E dopo aver ringraziato i genitori e il piccolo Stefan in tribuna, mandato un bacio a Jelena e all'altra figlia rimaste a casa, ha messo l'ultimo colpo.
Perché invece di festeggiare il ventunesimo Slam di Federer, il centrale si è ritrovato a celebrare il suo sedicesimo: «Roger mi ispira, soprattutto quando dice che bisogna credere che si può arrivare a 37 anni come lui. E io ci credo». Era una minaccia.
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