El Cholo, il predicatore del calcio che non c'è più

Simeone gioca il football «vita o morte» amato dalla gente vera Al pallone dei ricchi e famosi preferisce quello degli affamati

El Cholo, il predicatore del calcio che non c'è più

Vedendo giocare l'Atletico di Madrid, osservando Diego Simeone a bordo campo, correre e agitarsi, soffrire e urlare al cielo, ricordo quello che Bill Shankley, storico scozzese allenatore dell'Arsenal, disse, rivolgendosi ai cronisti inglesi: «Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d'accordo. Posso assicurarvi che è molto, molto di più». Se ti chiami Atletico e sei di Madrid che altro dovresti fare nella vita? Correre, soffrire, mostrare a quelli di là, del Chamartin, i signori del Real, che si può vincere senza esibire le medaglie sul petto e i conti correnti in banca e poi togliere la maschera ai riccastri di Catalogna, quelli del Barcellona che si trastullano con il loro tiki taka per poi spedirli a rimirar le stelle.

Diego Simeone è puro football, è il calcio come dovrebbe esser, come la vita stessa dovrebbe scorrere ogni giorno: «Qualcuno dice che bisogna saper perdere. No, io dico che bisogna saper vincere». Non è un salto, è un cambio di direzione, di filosofia, di testa e di cuore. Il calcio è davvero una questione di vita e di morte per il meticcio, el cholo (così lo chiamò don Victorio Spinetto, il migliore selezionatore di giovani argentini). Ma lui non è affatto di razza mista, è puro di calcio, ha un solo colore e un solo calore. Dopo aver eliminato i campioni d'Europa non ha parlato di tattica, non ha accennato all'arbitro, non ha esaltato il pubblico ma ha ricordato che i suoi, tutti, dal magazziniere all'autista del bus, dal portiere all'ultima delle riserve, si portano appresso quei valori che la società sta smarrendo, ogni giorno, sempre di più.

Parole, forse, ma confortate dai fatti, dalla garra, dalla voglia assoluta di ribadire la propria forza, non soltanto fisica ma mentale, la fame, prima della fama, di esistere e di resistere. Per gli argentini c'è solo un Diego. Per la gente di Madrid, posso azzardare anche per quella delle merengues, c'è un altro Diego. Simeone non è Maradona, la mano de Dios qui viene utilizzata per altri fini anche se proprio con una mano Diego di Madrid prese a schiaffi l'assistente dell'arbitro e si beccò otto giornate di squalifica. Sono anche quelli i valori della vita che vanno a smarrirsi lentamente, inesorabilmente? Forse ma Simeone non si occupa e non si preoccupa del passato, pensa al Granada, prossima partita, ha messo sul comodino la palla di neve del Barcellona, ormai non conta più, stamattina conoscerà chi dovrà affrontare in semifinale, se gli va bene rivedrà, per la finale, Milano, che frequentò con altre cento case ma che adesso potrebbe diventare ancora più sua.

Simeone corre, spinge, sbuffa, sbraita, delira, i suoi ne seguono ogni smorfia, ogni strillo, come fosse il predicatore e loro i fedeli pronti a osservare il rito, qualunque. I colchoneros non dormono mai sui materassi di lana, semmai di crine e, dunque, reagiscono, scattano, schizzano via, mordono l'erba e non la carne avversaria come sa fare Luis Suarez al quale vorrei cambiare l'anagrafe per non confonderlo con il maestoso e signorile Luisito, lui sì campione vero non come quest'uruguagio animale. Simeone, dunque, allenatore e calciatore assieme, addobbato come un buttafuori da balera, nero di capello e di abito, tutto, dalla camicia alla cravatta come deve essere nero il cielo sopra gli avversari. Un mito? No. Una leggenda? Nemmeno. Un allenatore di football, il calcio questo deve essere. Nessuno può vivere di rendita, devi svegliarti affamato e non famoso, devi sudare e non coprirti il viso con la cipria fasulla, lo sanno quelli della Premier che vedono il Leicester correre come nessuno, lo sa Ibrahimovic e i parigini di Saint Germain che hanno lasciato l'Europa dopo aver fatto i gigolò in patria, lo sanno gli avversari della Juventus che non ha fuoriclasse ma conserva la rabbia e la perfidia anche sgarbata di chi non cede il posto sul tram nemmeno a una donna incinta.

Diego Simeone e il suo cholismo sono una forma di vita, non soltanto di football. Puoi amarla, puoi odiarla ma prima o poi con questa devi fare i conti. Lo specchio non ha posto nei giardini del calcio, chi non crede non vive, dice Diego. E lui vive. E crede. E vince.

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