El Shaarawy unico milanista a non sentirsi orfano di Ibra

El Shaarawy unico milanista a non sentirsi orfano di Ibra

In un anno giusto giusto, gli è cambiata la vita. In un anno è passato dall'esclusione, patita come una ferita al petto, dalla lista della Champions league, decisa da Allegri per conservare il posto a un difensore in più, alla qualifica di bomber più giovane della storia milanista di coppa Campioni. Un anno può cambiare la vita. Ma forse è meglio dire la partenza di Ibrahimovic può cambiare la vita di Stephan El Shaarawy, esponente di un discreto plotoncino (Gabriel il portiere brasiliano, De Sciglio il difensore laterale, Cristante centrocampista e Niang attaccante) di giovani speranze lanciati da Allegri nella stagione della tormentata ricostruzione. Dalle parti di Milanello e non solo, ci sono molti vedovi del gigante svedese e in particolare dei suoi gol, non certo dei suoi modi dittatoriali esercitati all'interno del gruppo. Con dichiarazioni aperte di preferire un sodale all'altro, come pubblicamente ha confessato Antonio Cassano nella trasmissione “Undici“ di lunedì scorso. «Se non ci fossero state le sue pressioni avrei giocato molto meno» la convinzione del barese che con Ibra mise a punto un idilliaco sodalizio.

L'assenza di Pato e la mira sbilenca di Robinho, furono la fortuna di Fantantonio ma anche la disgrazia di El Shaarawy che si ritrovò retrocesso all'ultimo posto della graduatoria degli attaccanti a diposizione, pur non avendo la stessa età di Filippo Inzaghi e un avvenire spalancato davanti alla cresta che è diventata un segno distintivo di una intera generazione di calciatori. Non mancarono in quei giorni tristi e sconsolati, propositi di fuga dal grande Milan popolato da troppi campioni e da fuoriclasse accertati, addirittura con l'idea di fare ritorno, sia pure solo in prestito, al Genoa per aiutare i suoi a salvarsi. Parlò più volte con Preziosi accarezzando il proposito. Ora no, tutto lontano, tutto dimenticato o quasi. Tranne probabilmente l'ostracismo di Ibra che avrebbe chiesto e preteso la palla in occasione di quella sua serpentina attraverso i birilli dello Zenit. Perciò El Shaarawy è uno dei pochi che non ha rimpianto la partenza del gigante svedese. Ha lavorato sodo per aumentare il volume dei pettorali e mettere forza nelle gambe, cancellando l'idea di un fisico gracile e fragile. Non ha ancora venti anni ed è questa la sua forza. Ha la sfacciataggine della meglio gioventù e anche il coraggio, dopo aver trovato il super gol di Udine, di osare conclusioni che un tempo sarebbero rimaste chiuse nel cassetto dell'istinto.

E d'altro canto, per un ragazzo, con padre egiziano e mamma ligure, cresciuto coltivando il mito di Riccardino Kakà, il Milan non può essere una parentesi ma un punto d'arrivo. E quei 5 gol in 10 giorni non un caso fortuito ma la prima vendemmia di una carriera che deve ancora spiccare il volo. La scommessa con Ambrosini, il capitano, è alla portata («se fa 15 gol gli pago le vacanze»), è solo lo specchio di un gruppo che ha visto fiorire questo ragazzo con curiosità e anche con legittima soddisfazione. Senza di lui, con Pazzini ancora fermo ai 3 gol di Bologna, Bojan che sta scaldando i motori, e Pato sempre alle prese con i suoi tormenti muscolari, il Milan sarebbe in mezzo a una strada e Allegri forse di ritorno alla sua casa di Livorno. E invece El Shaarawy, scortato puntualmente da tutta la famiglia, papà che è sempre il più stressato prima della partita, mamma silenziosa, e fratellone che gli spiega e gli racconta ogni dettaglio di calcio internazionale, adesso sospinge addirittura il giovanissimo Milan verso un derby da affrontare senza abbassare gli occhi. Senza nemmeno farsela sotto.

Fino a qualche settimana fa, il piccolo Faraone era solo il bomber preferito da utilizzare contro l'Udinese, adesso, visto che si è ripetuto in campionato e in Champions, è diventato una sorta di talismano. Felice per il fatto che Ibra non ci sia più.

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