Fermati dal catenaccio? No, dalla sindrome Ibra

Ronaldo e Messi senza gol nell’ora della verità. Altro che super difese...

Fermati dal catenaccio?  No, dalla sindrome Ibra

È bello, curioso e ridicolo leggere di catenaccio e tattica di mucchio difensivo da gente, dicesi colleghi, che non conosce la storia del football e non sa decifrare e illustrare lo sviluppo di una partita di pallone. Il Chelsea, secondo i suddetti docenti, avrebbe superato il Barcellona grazie al catenaccio. In verità i catalani hanno colpito un palo, una traversa, per due volte le loro conclusioni sono state deviate sulla linea bianca, il portiere Cech è stato il migliore dei suoi. La semplice lettura del risultato è considerazione infantile.

Va da sé che il catenaccio è un'altra cosa e per capirlo e scriverne bisogna aver studiato Rappan e Rocco, tanto per citare a caso e a memoria, il riegel adottato nei favolosi anni Trenta, con il Servette prima e con la nazionale svizzera dopo, dal tecnico viennese che inventò Severino Minelli, cugino del granata Maroso, come difensore davanti al portiere Ballabio prima della terza linea (da cui terzini). Un disegno del genere appartenne nella Triestina e nel Padova al grandissimo paron Nereo che di necessità fece virtù.

Ma contro quelle scelte tattiche, con i tre difensori supportati alle spalle da un mediano diventato battitore libero fino all'epoca di Franz Beckenbauer ed eredi che trasformarono il ruolo in modo raffinato e dinamico, contro quelle difese davvero arcigne degli Scagnellato e degli Azzini c'era poco da scherzare mentre il Barcellona, di fronte a Cole, Cahill, Terry, comunque eccellenti, ha fatto e disfatto sbagliando per colpe e presunzioni proprie e non per strameriti altrui.

Se poi è catenacciaro Di Matteo che sostituisce Mata con Kalou, una mezzapunta con una punta, allora da ridicoli si è anche ignoranti. Piuttosto è stato Mourinho, la sera prima, con il suo Madrid a essere poco Real e molto realistico, ha gestito, e male come ha detto Casillas a fine partita, l'1 a 1 contro il Bayern e ha pagato questa scelta tattica che già aveva frequentato con l'Inter in alcune occasioni. Ma non è catenaccio, è altra cosa, è prudenza, è paura, è timore di non farcela. Del resto il football è l'unica disciplina nella quale il più forte non vince sempre, anzi può anche buscarle, a differenza di tutti gli altri sport, laddove, ad esempio, l'ultima scuderia di Formula 1, l'ultimo della pole del motomondiale, l'ultimo della corsia di nuoto, l'ultimo della classifica del tennis non può combinare guai seri al primo della classe e della classifica.

A ribadire il concetto il turno di andata delle semifinali di Champions ha messo in circuito una specie di sindrome Zlatan che avrebbe colpito Cristiano Ronaldo prima e Leonel Messi dopo. I due fenomeni sono sembrati bloccati, il portoghese ha sbagliato un gol facilissimo e si è innervosito, l'argentino non è riuscito a sfatare la tradizione negativa, per la settima volta ha incontrato il Chelsea e per la settima volta non è andato in gol, sbagliando, come il suo sodale ultramilionario del Real, un'occasione d'oro.

I due, comunque, a differenza di Ibrahimovic, avranno tempo e occasione per rifarsi domani sera nel «clasico» al Camp Nou e poi nel ritorno di martedì e mercoledì di Champions in terra spagnola. Come ci ha detto un illustre collega di Madrid, la tattica ideale non sarà il cerrojo (il catenaccio, in spagnolo) ma "evitar el cagarse". Superflua la traduzione.

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