Il messia tanto atteso dall'Italia compie il miracolo. Un nuovo miracolo italiano. Un miracolo perché un ragazzo cresciuto in un piccolo paesino della Brianza è riuscito a trasformare l'impossibile in possibile. E cioè sfidare gli atleti di colore, batterne diversi, e reggere il confronto con i più forti del momento sul loro campo: la velocità. Filippo Tortu, pupillo di Livio Berruti, a soli ventun anni sta riscrivendo la storia dell'atletica azzurra. Ieri a Doha ha infatti chiuso 7° (1007 il suo tempo) nella finale mondiale dei 100 vinta dallo statunitense Coleman (976 e graziato per un vizio di forma a un controllo antidoping) sul connazionale Gatlin (989 e ormai celebre ex dopato) e sul canadese De Grasse (990).
Dal record italiano di Madrid alla finale mondiale di Doha. È dunque ancora Super Pippo show. Trentadue anni dopo Pierfrancesco Pavoni a Roma, un altro velocista italiano torna, ad un campionato del mondo, nel G8 della gara regina, i 100 metri. Per l'ingresso tra i giganti della velocità, serviva un'impresa da gigante, in un grande evento. E lui, il baby fenomeno di Carate Brianza, sangue lombardo e sardo, unico bianco del lotto di partenti, ha colto l'attimo. Il sogno che fu di Pietro Mennea è stato realizzato dal suo erede designato, il brianzolo Tortu, che era già entrato nella storia dell'atletica italiana diventando il primo uomo del nostro Paese a correre i 100 metri sotto i 10 (999 a Madrid, 22/6/2018), cancellando il primato del leggendario velocista barlettano.
Ieri al Khalifa Stadium di Doha il nostro Bolt, prima della finale, aveva già compiuto un capolavoro piazzandosi al terzo posto della sua semifinale in 1011, al termine di una rincorsa magistrale. Finale da cui era rimasto fuori invece l'altro azzurro, Marcell Jacobs. «C'era da tirare fuori le palle aveva detto adrenalinico Filippo subito dopo la semifinale del pomeriggio -. Ed è quello che ho fatto». Poi, dopo la finale, è venuta fuori tutta la sua soddisfazione: «La mia gara migliore, emozione unica, ho battuto tutti quelli che nei mesi scorsi mi erano stati davanti, ho dato l'impossibile. Ero 17° a inizio anno e ho chiuso 7° con il mio record stagionale... Certo, avrei voluto andare ancora più veloce. Ma sono contento di aver rappresentato l'Italia davanti a tanti americani...». Una stella azzurra, luminosa e incontentabile questo 21enne allenato da papà Salvino e seguito dal fratello Giacomo che, va detto, a un anno dai Giochi ha solo appena iniziato a brillare.
Non brilla invece questo campionato. I problemi previsti legati al caldo infernale si sono puntualmente verificati. La scorsa notte, infatti, si è disputata in condizioni ambientali proibitive (32,7 gradi, umidità del 73,3%), la maratona femminile, vinta con il tempo più alto di sempre dalla keniana Chepngetich.
«Non respiravo, sono svenuta», ha confessato Sara Dossena, l'azzurra costretta al ritiro e finita addirittura su una sedia a rotelle come tante altre. In 30 su 68 si sono ritirate. Una via crucis. E nessun miracolo per loro.
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