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Film da Oscar: la grande bruttezza Juve

Lo vincerà solo con la Champions. E il calcio non è un concorso di bellezza

Film da Oscar: la grande bruttezza Juve

Il calcio non è un concorso di bellezza. Non sono previste, per il momento, sfilate di indossatori e stilisti. Trattasi di sport, invece, dove la sostanza conta molto di più della forma. Mi rendo conto che gli esteti o i docenti del nuovo football potrebbero accasciarsi ma questa è la realtà, trascritta e riportata nei libri e negli almanacchi. La Juventus gioca male, è lo slogan che eccita i sacchiani e affini, dimenticando alcune obbrobriose prestazioni offerte anche dal Milan colossale. La Juventus vista, meglio intravista all'Olimpico domenica sera non è stata di certo una bella immagine di gioco e di squadra, almeno per un'ora abbondante. Ma, al momento del conto, risulta che abbia vinto ed è questo che fa classifica, che fa cronaca, che fa storia. Non discuto la qualità tecnica e l'organizzazione tattica, inesistenti contro la Lazio ma trovo ridicola questa sinfonia che accompagna la squadra bianconera da cinque anni, da quando Massimiliano Allegri ne ha assunto la guida. Ci sono discipline nelle quali lo spettacolo viene messo da parte in funzione del risultato ultimo, ma è anche vero che le vittorie vadano confortate dalla ricerca della qualità. Gli 11 punti di vantaggio juventino sul Napoli e gli altri carichi sulle sedicenti inseguitrici sono purtroppo la conferma di un campionato mediocre, nel quale allo studio della tattica non corrisponde l'applicazione della tecnica. La grande bruttezza della Juve è un film che meriterebbe l'Oscar se trovasse conferma nella conquista della Champions League ma il raggiungimento delle due finali di Berlino e di Cardiff hanno rappresentato un premio alla sostanza infine battuta dalla migliore qualità del Barcellona e del Real Madrid.

Restando nel calcio e nei ricordi, l'Italia di Bearzot giocò un grande mondiale nel '78 in Argentina, mentre in Spagna arrivò al titolo dopo un avvio disastroso sul piano del gioco. Lo stesso per la squadra di Lippi, nella finale del 2006 non certo esaltante dal punto di vista estetico se non da quello emotivo.

Nel football di oggi spesso il bello rischia di essere bullo dunque meglio badare al sodo, al concreto, brutti e vincenti.

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