Calcio

Galliani, "l'urlo di Munch" da Perugia a Monza

Rieccolo. Rieccolo Adriano Galliani in versione ultrà, questa volta del Monza riuscito sabato sera, durante l'ultimo assalto, a rimettere in pari il risultato della sfida con l'Inter

Galliani, "l'urlo di Munch" da Perugia a Monza

Rieccolo. Rieccolo Adriano Galliani in versione ultrà, questa volta del Monza riuscito sabato sera, durante l'ultimo assalto, a rimettere in pari il risultato della sfida con l'Inter davanti 2 a 1, sentita e vissuta al pari di un derby, forse anche più per via dei suoi trascorsi milanisti, mai rinnegati, anzi spesso evocati e paragonati allo tsunami di emozioni che pure la promozione storica in serie A del Monza e la sua lenta ma inesorabile risalita in classifica stanno provocando nell'uomo che ha attraversato i 31 anni dell'era berlusconiana al Milan alzando scudetti e coppe senza mai dimenticare le proprie radici. Che provengono esattamente da Monza, la sua città, dallo stadio Sada frequentato da bambino, da quei tuffi in piscina con i calciatori dopo un successo in coppa Italia. Col basco di cachemire calato in testa per difendersi dall'umido, Galliani è schizzato in piedi come un tappo di champagne appena la biglia spedita da Caldirola ma deviata da Dumfries, ha scavalcato Onana.

È lo stesso Galliani scoperto dalle telecamere ai tempi di Perugia nella domenica del '99 che decretò lo scudetto di Zaccheroni e del Milan di Boban e Weah, capace di completare la spettacolare rincorsa sulla Lazio. «Sembra che dica Milan». In tv hanno provato a decifrare l'urlo di Munch uscito dall'ad del Monza, storico collaboratore e sodale di Silvio Berlusconi che gli perdona puntualmente l'agitarsi sulla poltrona di Atene, come morsicato da un serpente, quando Filippo Inzaghi deposita in fondo alla rete del Liverpool la palletta del più sicuro 2 a 0. «Confesso: non so proprio cosa ho detto, in quel momento ero esattamente in trance» la replica dell'interessato che ha vissuto un'altra di quelle serate da raccontare. Il suo è un entusiasmo contagioso, quasi fanciullesco, che attraverso il web e la tv e trascina le curve a considerarlo il loro eroe, che accomuna la figura del dirigente a quella dell'allenatore o ai calciatori in panchina. È uno di loro insomma, uno dei segreti del successo collezionato e dei rapporti mai interrotti con tecnici e campionissimi passati da Milanello negli anni, oppure incrociati negli stadi da rivali.

Perché parlano la stessa lingua, vivono le identiche emozioni, sono figli della stessa passione e si riconoscono come componenti della stessa etnia.

Commenti