
Rino Gattuso dinanzi alla difficoltà dell'impresa (se va bene, per qualificarsi al mondiale, deve superare i playoff) ha un piccolo vantaggio da sfruttare. Resta infatti circondato da un diffuso scetticismo in forza del suo passato di calciatore di lotta e non di governo, senza talento geometrico ma dotato di generosa corsa e disponibilità assoluta al sacrificio. I suoi numerosi critici dimenticano naturalmente che un ct non è un allenatore - di qui i raffronti con i risultati ottenuti nei club sono fuori luogo - ma un selezionatore, uno cioè capace di scegliere le migliori energie del calcio italiano, zigzagando tra infortuni, squalifiche e cadute di rendimento. Grazie a questo discutibile credito, adesso Gattuso deve puntare a completare il girone di qualificazione senza sbagliare un solo passaggio, una sola partita delle prossime quattro, una sola giocata. È vero: il rischio maggiore è riservato più alla sfida di Udine contro Israele ma nel frattempo bisogna passare indenni anche dal viaggio a Tallinn.
Il calcio italiano, nell'occasione, si porta dietro una clamorosa contraddizione che agli occhi estranei diventa incomprensibile se non proprio ridicola. E cioè mentre a Tel Aviv e a Gaza sono in corso manifestazioni di giubilo per la tregua firmata, dalle nostre parti ci si prepara a vivere martedì prossimo un clima da assedio come se non fosse accaduto niente di storico e significativo nelle ultime ore. E nella fattispecie, giocare con 10mila manifestanti fuori dallo stadio, mentre all'interno c'è un semideserto, non rappresenta certo il clima migliore per portare a casa la sfida con il rivale che ha già fatto soffrire gli azzurri a Debrecen un mese fa. Per dirla tutta sull'argomento, vista la piega che la vicenda stava prendendo, forse sarebbe stato utile prevedere una sede diversa da quella di Udine. Magari chiedendo ospitalità all'Ungheria.
Sarebbe stato interessante vedere quali e quanti dei diecimila manifestanti si sarebbero sobbarcati al viaggio nel paese governato da Orban che, in materia di ordine pubblico, come si sa, non è certo disposto a chiudere un occhio.