La generazione ispirata: domani toccherà a loro

La nostra tiratrice può fare altre 4 Olimpiadi: ci aspettano tanti oriLA FORZA DEI VALORI La lezione della Franklin I ragazzi di oggi non sono tutti superficiali

La generazione ispirata: domani toccherà a loro

La generazione ispirata c'è. Senza colore, senza sesso, senza nazionalità, senza età. L'Olimpiade chiedeva questo a se stessa: Inspire a generation. Qualcosa che restasse, qualcosa che si vedesse. Lo sport l'ha trovata. Ha facce nuove viste in questi quindici giorni e pronte a farsi rivedere nei prossimi anni. I padroni del domani. Ora che non c'è più Phelps, poi quando non ci sarà più Bolt, quando cambieranno le altre. Questi sono i ragazzi che vivono oggi per esserci domani. C'è la faccia di Missy Franklin: 17 anni, cinque medaglie con quattro ori e un bronzo, un record del mondo. È la nuova padrona del nuoto femminile. Viene da Aurora, Colorado. Avete presente? La città della strage fatta da quel pazzo travestito da Batman. Missy era chiusa in una piscina per allenarsi mentre quello sparava sulla sua gente. Faticava, questa ragazzina, per vincere e inconsapelvolmente smentire i luoghi comuni sui ragazzi di oggi: senza valori e senza voglia di sbattersi, tutti come quell'idiota che ha massacrato 12 persone. Missy non è simpatica. Per niente. Sa di essere forte, sa di avere le gambe e la testa per durare nonostante il nuoto distrugga in fretta i suoi eroi. È arrivata a Londra per vincere e qualcuno gli ha fatto capire pubblicamente che ce l'avrebbe fatta solo cambiando atteggiamento. È stato Michael Phelps che in conferenza stampa ha detto: «Missy deve fare attenzione a non sentirsi troppo brava. Lo è, ma deve dimostrarlo». Capito baby? Sì. In acqua Missy non ha parlato, ha solo nuotato. Ciao mondo: eccomi, sono la tua prossima padrona.

Se la vedrà con un'altra ispirata. La cinese Ye Shiven, la ragazzina che ha stravinto i 400 misti, ha nuotato più veloce degli uomini in una frazione, ha scatenato la guerra diplomatico-sportiva tra Stati Uniti e Cina. Lei, quella accusata di doping perché non è possibile che vada così forte. I dubbi ci sono e però ce la ritroveremo ancora Ye. Perché va forte e la vedremo partire, tuffarsi, nuotare, vincere. Dopata? No, fino a prova contraria. No, fino a quando qualcuno non riuscirà a dimostrare con i fatti che non è plausibile un risultato come il suo. La piscina è di Missy, di Ye, di Ruta Meilutyte, la lituana di 15 anni che ha vinto l'oro nei 100 farfalla. Piangeva, alla fine della gara. Piccola lei e piccolo, nel nuoto, il suo Paese. Ci sarà ancora, Ruta che per diventare campionessa olimpica da adolescente s'è trasferita a nuotare in Gran Bretagna: studia e si allena al Plymouth College, la scuola che ha portato quattro dei suoi studenti ai Giochi. Meilutyte ha trovato la sua America, nella città dalla quale partirono i padre pellegrini che fondarono gli Stati Uniti. I 24 mila euro della sua retta vengono pagati dal comitato olimpico lituano e dalla Lithuanian Swimming Federation. Si allena con 60 atleti d'élite che vengono da 27 Paesi. Tutti lì, dove c'è anche Tom Daley, un altro pezzo della generazione ispirata. Lui era una delle storie che la Gran Bretagna voleva raccontare al mondo: quella di un ragazzino vittima dei bulli che si riscatta tuffandosi da una piattaforma alta dieci metri. Londra era piena delle sue foto in questi giorni: un volto per il futuro. Pulito, bello, bravo. Ha perso la prima gara, gettando nello sconforto l'intero Paese, poi ha preso il bronzo nella seconda gara. Terzo, a 18 anni. Questo voleva: un podio per continuare a raccontare se stesso. Domani ci sarà, Tom. Con le ceneri del papa sempre con sé: il padre lo voleva campione, ma non è riuscito a vederlo per colpa di un tumore che l'ha ammazzato pochi mesi prima dell'inizio delle Olimpiadi. Tom lo omaggia: sabato sera, dopo il bronzo, ha alzato gli occhi al cielo e ha indicato l'al di là con gli indici. Eccomi, pà: ho fatto quello che volevi.

Lo sport olimpico vuole belle facce e belle storie. Sono loro gli ispirati che possono ispirare. Come anche Ryan Lochte, l'erede di Phelps: non è giovane come gli altri, ma appartiene comunque alla nuova generazione. Con i soldi che ha guadagnato in queste Olimpiadi dove ha preso cinque medaglie, pagherà i debiti che rischiano di lasciare i genitori senza casa. Poi c'è la nostra Jessica Rossi che a 20 anni ha colpito 99 piattelli su 100, s'è presa l'oro, l'ha dedicato alla sua terra piegata dal terremoto. Jessica si prepara per dominare i prossimi decenni: è uno sport nel quale si dura, il suo. Anzi, è uno sport nel quale si arriva tardi. Lei ci è arrivata ragazzina, pronta a rimanerci. Rio e dopo Rio il resto: può giocarsi altre quattro Olimpiadi, c'è chi dice cinque. Tanto da durare all'infinito, tanto da regalare a se stessa e a noi altri ori, altra gloria. Spara ancora, Jessica. E corri David Rudisha. Il ragazzo d'Africa che s'è fatto gli ottocento metri 1'40”91: ha frantumato un record che da solo aveva già abbassato altre due volte. Ha 24 anni, Rudisha. Lo vedremo ancora. Mo Farah, invece può anche chiudere qui: vincitore dei 5000 e dei 10000 metri. Se la Gran Bretagna voleva trovare un'altra storia da raccontare c'è riuscita: Londra è impazzata per lui, per questo somalo che ha voluto essere britannico. Sue tutte le copertine dei giornali di ieri, sua l'immagine a uso interno di questa Olimpiade. L'unico che qui ha messo in crisi la visibilità di Bolt. Con una corsa impazzita, con un esultanza da bambino felice, con una frase: perché sei così contento Mo? «Perché ho vinto a Londra, amico.

E questo è il mio Paese». Lo stesso dei sette ragazzini che hanno acceso la il braciere olimpico: adolescenti in cerca di qualcosa. Hanno detto che saranno i campioni di domani. Ispirati qui, a Londra. Nell'anno del signore 2012.

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