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Il gigante fedele a un Vecio e a un Paron

L'Uefa lo celebra come Cruijff, pagina fondamentale del libro del calcio

di Tony Damascelli«Maldini? This is a sad news, one of the giants of the world football». Una triste notizia, Maldini era uno dei giganti del calcio mondiale. Gli inglesi amano il football e la sua storia, Cesare Maldini era l'uomo di Wembley, Cesare era il libro, attraverso il figlio e i nipoti, del football mondiale, Cesare era la leggenda anche per coloro che ritengono sempre di essere i maestri del calcio. Gli inglesi, dunque, e poi i francesi e gli spagnoli e i tedeschi, l'Europa, dopo Cruijff, perde un'altra figurina della sua collezione unica, l'Europa non ha mai smarrito la memoria forte, come noi, invece, spesso usiamo fare, per il desiderio di correre in avanti, troppo, ferocemente. L'immagine del capitano del Milan che tiene alta la coppa, scendendo la scaletta dell'aeroplano che riporta a casa i campioni d'Europa, sembra lontanissima eppure conserva ancora il profumo di un'epoca, di una maglia, di un giorno unico, l' evento, la prima di altre bellissime volte milaniste. Maldini era calciatore essenziale ed elegante, Cesare era l'uomo per bene che in questo mondo screanzato non significa più nulla, ma, al tempo, era il distintivo del campione mai fenomeno. Difensore e leader, gli occhi celesti come il mare unico di Trieste, dal ricreatorio di Servola, chiamato anche Casa dei Balilla, alle telecamere di Al Jazeera, un arco incredibile e imprevedibile ma la stessa vita, una sola, lineare, senza baruffe volgari, senza polemiche miserabili. Cesare non è stato mai attore e nemmeno comparsa ma sempre ha saputo seguire il racconto del pallone. Era il suo, lo stesso football di Nereo e di Enzo, del paròn e del vecio, gente di razza e di stazza, il football che sapeva di olio canforato e di segatura, roba seria, diceva Rocco che teneva Cesare come un figlio e lo voleva con sé sempre, a Milano e a Torino, rossonero e granata; e Bearzot, dopo di lui, la stessa fede e fiducia, non un semplice assistente ma una voce di dentro, sicura e rassicurante, Cesare meno spigoloso e introverso del tecnico mondiale, non certo di scontrosa grazia come la città sua, Trieste, descritta da Saba, più amante della vita comune, della cena con gli amici e antichi compagni, l'Assassino e il Novecento a Milano, i luoghi del convivio serale, dopo una partita, per chiacchierare, ricordare, in fondo vivere. Cesare Maldini il padre di Paolo, il nonno di Christian e Daniel, pagine sfogliate dal vento di bora, l'araldica non c'entra, la dinastia è importante ma resta la firma, con l'inchiostro rosso e nero, di un calciatore e di un allenatore, nel totale, di un uomo assolutamente normale che avrebbe potuto godere l'esistenza osservando il resto della comitiva di cabarettisti, con quel sorriso beffardo che gli apparteneva.

Ma l'uomo che veniva dal mare non ha voluto arrendersi mai all'ozio privilegiato. Ha scelto di divertirsi come gli riusciva alla Casa del Balilla. Non basta un minuto di silenzio per rispettarne la memoria. Serviranno giorni e mesi per non dimenticare.

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