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Gigio è il Piave dei rossoneri. Se lo si cede è la fine

I cinesi hanno un solo modo per conquistare i milanisti: fermare la Juve e tenere il portiere prodigio

Gigio è il Piave dei rossoneri. Se lo si cede è la fine

Oltretutto, se lo osservi bene in faccia noterai, sopra il sorriso da scugnizzo milanesizzato, sopra i timidi baffetti da adolescente e sopra il naso importante, due occhi che, già allenati alla visione e alla previsione delle mosse avversarie, sono leggermente allungati. Diciamo quasi a mandorla. E chi ha orecchie per intendere, intenda...

Quando arriveranno (perché ormai stanno arrivando no? hanno già un piede sulla scaletta dell'aereo, giusto?) i cinesi chiamati all'ardua impresa del post-Berlusconi, dovranno osservarlo bene in faccia, il nostro Gigio (e sottolineo nostro, caro dottor Marotta). Fissarlo in silenzio per qualche istante, con il rispetto e l'ammirazione che si deve a un capolavoro. Possibilmente senza pensare alla sibillina frase del dottor Mino Raiola. «Donnarumma è un Modigliani», disse, con l'annesso e connesso della quotazione sul mercato pallonaro: «170 milioni», proferì il Maradona dei procuratori in tempi non sospetti, trasformandoli immediatamente in sospetti.

I soliti sospetti, cioè. Pare che l'attempata Madama Juventus abbia perso la testa per questo ragazzino, stanca di uomini maturi tipo Barzagli o Chiellini. Soprattutto tipo Buffon, il quale per noi rossoneri è soltanto uno che difetta di una «o» nel diminutivo. Ma, per fortuna, fino al 25 febbraio prossimo può soltanto sospirare e mugolare come una gatta in calore, senza azzardarsi a sfiorarlo con un dito, il nostro Gigio, altrimenti scatterebbe l'adescamento di minorenne. Roba da codice penale, altro che le bubbole delle multe Uefa e del fair play finanziario. In galera finirebbe, quella subdola mantide a strisce bianche e nere. Poi però, dal 26 febbraio, liberi tutti. Ecco, c'è il fondato rischio che il 26 febbraio 2017 diventi, per chi ha il cuore rossonero, una specie di 8 settembre 1943. Con la differenza che, a quel punto, ogni Resistenza risulterebbe inutile, come un rigore da battere al 95º minuto mentre stai perdendo tre a zero. Invece noi vogliamo, dai nuovi compagni lossoneli, un «proclama» che non sia un armistizio, al contrario, una dichiarazione di guerra (e metteteci tutte le virgolette che volete) sportiva. Gigio è il nostro Piave, signori. Di qui non si passa.

Certo, i due dottori di cui sopra, Marotta e Raiola, hanno l'acquolina in bocca, pregustano il trapianto di mani: da quelle di Gigi a quelle di Gigio. Certo, loro tengono dalla parte del manico l'affilato bisturi del portafogli, possono promettere mari e monti all'enfant prodige. Certo, i tempi sono cambiati. Gianni Rivera, Franco Baresi, Paolo Maldini, se giocassero ancora, correrebbero lo stesso rischio di Gigio Donnarumma. I loro procuratori potrebbero agevolmente procurarci altri guai epocali. Oggi è più difficile essere una bandiera a 18 anni, anche se sei alto quasi due metri e il tuo vessillo garrisce nel cielo. Ma noi dobbiamo dar fondo al nostro fondo, ancorché cinese, invece che milanese o quantomeno italiano.

Siamo pronti alla battaglia, sapendo che sarà una marcia più lunga di quella guidata da Mao. Non possiamo sederci lungo la riva del fiume ad aspettare che il potere gobbo annaspi fra i gorghi del nostro orgoglio. «Ghe voeur anca i danée» è, purtroppo, una grande verità ben nota a Pechino. Dunque, compagni lossoneli, tirateli fuori.

Noi, da Milano, la città di via Palosappi, possiamo assicurarvi che non ve ne pentirete.

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