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Giocare o no... Inutile teatrino che fa male al calcio

Giocare o no... Inutile teatrino che fa male al calcio

Non è molto complicato indovinare cosa si nasconde dietro l'ultimo duello tra Giovanni Malagò, presidente del Coni, e Gabriele Gravina, numero uno del calcio italiano. Sono andati d'amore e d'accordo fino a qualche giorno fa, poi all'improvviso hanno imboccato strade diverse. Uno, il capo dello sport italiano, è diventato pessimista sulla possibilità di riprendere il campionato, l'altro ha conservato una fiducia di fondo e ha solo rinunciato alla prima proposta (playoff) bocciata all'unanimità per convertirsi al «dobbiamo finire la stagione a costo di arrivare a novembre». Il fine ultimo è quello di evitare la coda velenosa di ricorsi e cause per danni: con l'economia al tracollo, sarebbe il de profundis per il pallone italico. Allora perché i due hanno inforcato sentieri opposti se un mese prima Malagò è stato tra gli ultimi ad arrendersi allo slittamento delle Olimpiadi di Tokio? E come mai spunta a sorpresa anche Petrucci del basket che stronca il tentativo di finire la stagione «a spizzichi e bocconi» ma poi ricuce con Gravina («sa quel che deve fare»). Visioni diverse, verrebbe da suggerire per non cedere alla tentazione del retroscena. Di fatto il dissidio è la plastica rappresentazione di quel che sta accadendo sui media (Corsport da una parte, Corsera dall'altra) e dentro il catino della Lega di serie A dove si fronteggiano il partito «alleniamoci subito» che fa riferimento a Lotito e ADL e il partito «chiudiamola qui» identificato in Cellino, Ferrero, apri-pista di Cairo e dello stesso Marotta che ha evitato di schierarsi pubblicamente ma è stato il primo a teorizzare la prossima serie A a 22 squadre. Il presidente della Lazio ha provato fino a poche ore prima della conferenza del premier Conte a strappare un sì alla ripresa degli allenamenti per martedì 14 aprile. Addirittura si è corso il rischio di una frattura clamorosa tra Palazzo Chigi e lo staff degli esperti qualora fosse passata un'apertura del genere. Il fronte opposto, mai rassegnato all'idea di rimettersi in tuta il 4 maggio, ha arruolato Malagò dopo quella frase («nessuno ha la certezza di finire la stagione») suonata come un sostegno politico alla causa della chiusura anticipata. Il calcio e lo sport non hanno bisogno di questo teatrino.

Meglio parlare una sola lingua oppure lasciare il peso della responsabilità alla politica.

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