Sport

Giochi da strada per salvare i Giochi

Breakdance e skateboard a Parigi '24: le scelte del Cio fanno felici gli organizzatori

Benny Casadei Lucchi

Da cinque edizioni olimpiche ci sono ragazzi e ragazze che saltano sul trampolino elastico. Quando vincono sono giustamente campioni olimpici. Quando perdono sono giustamente incacchiati come tutti i mancati campioni olimpici. Perché «l'importante non è vincere ma partecipare»; che poi è frase falsa come Giuda. Frase a cui non credeva neppure il papà delle Olimpiadi moderne, Pierre de Coubertin. Tant'è che a lui era attribuita però lui mai l'aveva pronunciata. Da nove edizioni dei Giochi ci sono anche splendide fanciulle, non i fanciulli però, il che, a voler essere franchi, implica una discriminazione di genere, che con nastrini, trucchi vistosi e sorrisi tesi vanno a caccia di medaglie nella ginnastica ritmica. Visto che all'Italia portano allori nessuno dice niente. Siamo però sicuri che la disciplina medesima sia nobilmente olimpica come la maratona, i 100 metri piani e gli stili del nuoto? E siamo proprio sicuri sia giusto che il trampolino elastico, che tanto piace ai bimbi di cinque anni e molto meno a quelli di trenta, o le coreografie luccicanti della ritmica, siano sport più olimpici delle acrobazie dei trapezisti circensi o le danze delle majorette a metà Superbowl?

No che non siamo sicuri. Per cui, nel dubbio e nella confusione, ben vengano trampolini elastici, stelle filanti, bastoncini colorati e, ora, dopo che il Cio ieri ha accettato i 4 sport proposti degli organizzatori di Parigi 2024, ben vengano a maggior ragione la faticosissima arrampicata sportiva, il muscoloso ed emozionante surf, il doloroso e acrobatico skateboard e la bassifondiana e intrigante breakdance. A Tokio, fra poco più di un anno, le prime tre sono già in calendario. L'ultima, la danza di schiena e palmi di mano (inclusa fra i balli sportivi della Federdanza) praticata sui marciapiedi in perenne e faticoso semiequilibrio per evitare di prendersi una culata di dimensioni pazzesche, sarà dunque una novità tutta parigina.

Perché il sistema in vigore consente al comitato organizzatore locale dei Giochi, dopo valutazione di propensioni, attitudini, interessi della propria gente e non solo, di proporre nuovi sport. Lo spirito che anima questa mutazione è uno spirito tutt'altro che olimpico. Più semplicemente di sopravvivenza. Il Cio ha compreso che se le Olimpiadi moderne non vogliono diventare anch'esse antiche, si devono evolvere. Ormai le città organizzatrici non si scelgono quasi più, semmai si pregano. Da qui la decisione di dare maggiore libertà a chi organizza e le vedute più larghe del Cio. Il presidente Thomas Bach ieri ha detto che «i quattro sport proposti contribuiscono a rendere il programma più equilibrato nel genere, più giovane e più urbano, offrendo l'opportunità di entrare in contatto con la giovane generazione». Parole che guardano al futuro e cercano di contrastare la progressiva fuga dalle Olimpiadi delle città organizzatrici.

In fondo, de Coubertin, quando rispolverò i Giochi dell'antica Grecia, non fece altro che adattarli ai propri tempi. Bach sta facendo la stessa cosa. E altre ne ha in programma. Nel dicembre scorso, dopo lungo discorrere sul tema, il Cio ha bloccato il debutto olimpico, sempre a Parigi, che ne aveva fiutato l'immenso business, dei video giochi ora detti esports. «Non possiamo ignorare la crescita dell'industria degli esports» spiegò nell'occasione il Cio, «soprattutto per la popolarità tra le giovani generazioni. E siamo concordi che il gaming competitivo comporti un'attività fisica comparabile a quella richiesta dagli sport tradizionali. Ma questo non si applica a chi usa i videogiochi per piacere personale... Per questa ragione, servono ulteriori approfondimenti...». Il Cio annunciò comunque future «collaborazioni con gli esports» indicandoli come un'«industria che evolve rapidamente, con un cambiamento continuo della popolarità dei giochi e basata su interessi commerciali, mentre lo sport poggia sui valori». Bugia.

Provate ad aprire una bibita dello sponsor sbagliato a un evento olimpico.

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