Meglio tardi che mai, anche Antonio Conte ha scoperto che vincere aiuta a vincere. Lo manda a dire da Gelsenkirchen, stadio dello Schalke, campo neutro contro la spagnola Getafe, dove l'Inter stasera proverà ad evitare la delusione stagionale facendosi cacciare dalla Europa League. Il ciao, ciao, alla Champions, contro il Borussia Dortmund, resterà nelle prove a carico negativo, il giorno in cui allenatore e dirigenza, che sullo stomaco gli sta, si metteranno a parlare seriamente del futuro, senza tribunalizie orazioni televisive.
Non una gran novità che vincere aiuti a vincere: il pubblico nerazzurro ricorderà certamente che questo era il mantra del primo Mancini, allenatore che ha insegnato al club come si torna a vincere. Ora la squadra deve provarci in coppa: situazione ostica sotto ogni punto di vista. C'è la necessità di restituire la giusta soddisfazione dopo il polverone creato nell'ultima di campionato: bella partita, buon piazzamento e un allenatore andato fuori giri. Anzi di più: è l'ultima possibilità che questa drammatica e strampalata annata regala ad allenatore e squadra. Non ai dirigenti che, comunque vada, rischiano una figuraccia. Se Conte perderà anche la chance europea, saranno costretti a salutare il superpagato tecnico, non avendo preso di petto la questione che, in aziende diverse da quella calcistica, si sarebbe conclusa con un licenziamento.
Dietro le quinte i fuochi non si sono spenti, l'idea Allegri rimane nel taschino in attesa di sviluppi, è carta velina l'armistizio firmato da Conte con una dichiarazione che pareva scritta da un avvocato. Perfino nel pallone i milioni pesano e gli stipendi dei tecnici pure. Quindi la società dovrà far bene di conto: avendo ancora Spalletti a libro paga. Se, invece, dovesse arrivare la coppa, i suddetti dirigenti, dall'Ausilio che entra in ogni contestazione, allo Zhang assenteista e pirotecnico, al Marotta che comincia ad averne abbastanza, si prenderanno ancora il rinfaccio sulla gente «che sale sul carro dei vincitori». Comunque vada ci saranno sconfitte e sconfitti più che vittorie. Solo guerra di potere e contropotere, nulla che parli realmente di football. Il potere che il tecnico arroga a se stesso, perché l'ottica è autoincensatoria: io vinco, gli altri tutti sotto. Io non vinco, colpa vostra. E quel potere-contropotere che il club dovrebbe tenere fra le mani, ma all'Inter pare sfugga più di una anguilla in acqua.
Quindi il Getafe può essere solo un cuscinetto di decompressione. E, per ora, l'unico autentico successo del tecnico arriva dalla curva nerazzurra che si è convertita al suo credo. Arrivato come un antipatico juventino, ora pare aver cambiato anima. Fa fede lo striscione, comparso sotto la sede nerazzurra, che diceva: «Gli interisti veri e la curva nord sono con Conte». Una volta gli interisti veri stavano con chi li faceva vincere. Seppur sia reale che l'Inter ha perso, più che vinto, negli ultimi 50 anni. Il caso coppe europee vale la dimostrazione: sono circa 10 anni di astinenza da successo contro le spagnole, ovvero da quando l'Inter sconfisse il Barcellona in semifinale di Champions (2009-2010). Ora c'è l'occasione perché il Getafe, nel post Covid, ha conquistato 8 punti in 11 giornate.
L'Inter potrebbe tornare nei quarti di una coppa europea dopo 9 anni. Il tecnico ha già ammonito tutti: «Sarà una sfida dura. Potrà essere una partita sporca e dovremo sporcarci». E queste sono parole finalmente di calcio. Ma basta la parola?
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