I 419 pazzi giorni di una meteora di nome Maurizio

Doveva portare il bel gioco, come Maifredi 30 anni fa. Dopo di lui partì la rivoluzione. Sarà così?

I 419 pazzi giorni di una meteora di nome Maurizio

Il (presunto) calcio champagne non porta bene alla Juventus. Questione di Dna, probabilmente. O del fatto che a Torino, città concreta e operaia, il risultato vada di pari passo con lo spettacolo: se manca il primo, manca anche il secondo. Basta capirsi, insomma. E, soprattutto, basta saperlo: Sarri lo ha imparato a proprie spese, pur avendo vinto lo scudetto. Gigi Maifredi, stagione di grazia (per gli avversari) 1990/91, anche: chiamato da Luca Cordero di Montezemolo per fare cambiare pelle alla Signora e avvicinarsi al Milan berlusconiano, non ne imbroccò una. O quasi: la zona difensiva non attecchì, Roberto Baggio predicava nel deserto e il settimo posto in classifica portò per la prima volta dopo ventotto anni all'esclusione dalle coppe europee. Né andò meglio in Europa, nell'allora Coppa delle Coppe: il cammino si interruppe in semifinale contro il Barcellona allenato da Johan Cruijff. Ne seguì una vera restaurazione, con il ritorno di Boniperti e Trapattoni: non è ancora dato a sapere quel che succederà sotto la Mole nelle prossime ore, ma intanto ieri è andato in archivio l'interregno di Sarri. Il quale, va ripetuto per giustizia, al contrario di Maifredi lo scudetto l'ha vinto e perdipiù subito, ma non ha mai avuto davvero la squadra dalla sua parte: nemmeno nella tournée della scorsa estate, quando leggenda vuole siano nati i primi dissapori con parte della vecchia guardia. E anche i tifosi, pretenziosi perché ammaliati dalla bellezza del gioco espresso precedentemente dal Napoli, gli hanno presto voltato le spalle. Si è così tornati a pensare solo al risultato, raggiunto in campionato ma non oltre i patri confini. Dove il bilancio (negativo) ha infine determinato il futuro: era dal 2015/16 che i bianconeri raggiungevano almeno i quarti di finale, traguardo minimo per sentirsi grandi e giustificare l'arrivo di CR7.

Fallito l'approdo alle Final Eight di Lisbona, il castello è quindi crollato e Agnelli ha messo il turbo. Ringraziando Sarri per il lavoro svolto (un minimo di stile è rimasto) e per «la vittoria del nono scudetto consecutivo, coronamento di un percorso personale che lo ha portato a scalare tutte le categorie del calcio italiano». Non è bastato. E non poteva bastare. Perché la Signora si sente europea e mondiale: come Ronaldo, il quale con Sarri non ha mai davvero legato nonostante sotto la sua guida abbia decisamente segnato di più rispetto alla scorsa stagione (37-28). I numeri però non sono tutto, a volte nemmeno per CR7: bisogna alzare i trofei più importanti, per essere grandi.

E comunque anche certi dati avevano fatto capire, strada facendo, che la Juve non era più né carne né pesce: troppi, alla fine, i 54 gol presi in 52 partite, troppi i 4 ko nelle ultime 8 di campionato, troppe le rimonte subite, troppo pochi i 76 gol segnati in campionato se paragonati ai 98 dell'Atalanta. Tutto troppo dal verso sbagliato. Motivo per cui, si cambia.

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