Vendetemi tutto, ma non la haka. Il mondo degli All Blacks è in rivolta. Stelle mondiali del rugby come Sam Cane, il capitano, Aaron Smith, Sam Whitelock e molti altri giocatori hanno preso carta e penna per scrivere una dura nota alla federazione neozelandese, pronta a vendere il 15 per cento dei diritti commerciali della leggendaria nazionale di rugby al fondo statunitense Silver Lake per 276 milioni di euro. Ma i giocatori hanno detto stop: «Non approveremo la vendita di quote perché gli All blacks giocano per se stessi, per le loro famiglie, per il loro paese con un impegno ereditato da un grande passato. Stiamo vendendo 129 anni di storia».
Insomma, professionisti sì, ma senza rinnegare l'essenza del rugby che è soprattutto tradizione. La federazione neozelandese dunque dovrà rivedere i propri conti, perché probabilmente senza la possibilità di sfruttare l'haka i diritti si ridimensioneranno. Commercializzare la danza di guerra è un sacrilegio per la storia maori. Ma come sarebbe un sacrilegio vendere i diritti di Flower of Scotland cantato a cappella prima di ogni partita dai nazionali scozzesi. O quelli di You'll never walk alone dei tifosi del Liverpool.
D'accordo gli All Blacks sono uno dei più famosi e quotati brand dello sport mondiale, come il Real Madrid, i New York Yankees o i Dallas Cowboys, aziendine che valgono dai 2 ai 4 miliardi di euro ciascuna, ma ci sono club calcistici come il Barcellona o l'Athletic Bilbao che hanno cercato di difendere fino in fondo le loro maglie dalla contaminazione degli sponsor e per questo hanno rinunciato a offerte pesantissime.
Per fortuna sono vietati sulle maglie delle Nazionali, perché vedere quelle azzurre trattate come un cartellone pubblicitario non ci farebbe molto piacere. E, una volta commercializzata pure la haka, allo sport resterebbe da vendere solo il suono delle campane di Maranello. Anche quello, in fondo, fa parte del brand Ferrari.
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