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I "fratelli d'Italia" azzurri che hanno riunito il Paese

Mancio e Vialli, "genovesi" come Mameli e Novaro, e una squadra diventata inno calcistico all'amicizia

I "fratelli d'Italia" azzurri che hanno riunito il Paese

Il senso italiano del calcio talvolta fatica a distinguere tra Fratelli e Fardelli. Fratelli ci riporta a Fratelli d'Italia, l'inno di Mameli, il sanguigno intreccio di volontà che gli atleti intonano con più determinazione rispetto a tempi lontani. Merito dell'ex presidente Ciampi che liberò gli animi e il richiamo all'appartenenza. Oggi intuite lo spirito del canto in Mancini e Vialli e, perché no?, in Immobile e Insigne, Bonucci e Chiellini, per vicinanza di ruolo diremmo Jorginho e Verratti, ma per esaltazione caratteriale e di gioco chi altri se non Chiesa e Barella? I Fardelli sono quelli che ogni storia nostrana si porta dietro quando l'obbiettivo si avvicina e i fantasmi volteggiano sul giocar libero.

Quale potrebbe essere il fardello odierno? Il ricordo dell'ultimo gol segnato dalla Spagna agli azzurri: un disastroso 3-0 firmato dal guizzo finale di Alvaro Morata che sarà pronto alla controfirma. Ecco perché sarà necessario ricorrere al metodo Fratelli d'Italia. L'abbraccio scaldacuori fra Mancini e Vialli, foto emblema di questa storia europea, è il leit motiv che deve ispirare i giocatori nostri. Chi meglio insegna cosa voglia dire senso dell'amicizia, del provarci insieme? Wembley è lo stadio di un sogno, anzi di un fardello che si portano dietro da anni. Sarà un caso: Mameli, che scrisse l'inno, e Michele Novaro, che lo musicò nel 1847, erano di Genova. Proprio là dove tutto partì nella vicenda dei nostri gemelli. L'idealità si avviluppa in particolari non sempre irrilevanti. Mancini ieri ha spiegato, a chi non avesse capito, che «siamo praticamente cresciuti insieme, come avere un fratello: qualcosa che va al di là dell'amicizia. Solo che lui è un po' più anziano e lo ascoltiamo volentieri quando parla». Il senso di ironia completa il legame. Ma proprio tal modo di far intendere il valore di un rapporto ha spinto ad altre parentele. C'è sempre un qualcosa di juventino in nazionale: una volta erano Cabrini e Tardelli per cui si scatenarono dicerie da silenzio stampa. Ora parliamo della coppia di ferro stampato d'antico, Bonucci e Chiellini, vecchi pirati, uno più fragile muscolarmente ma dal carattere esaltante. Eppure ricorda Bonucci «negli ultimi due anni abbiamo giocato poco insieme per via degli infortuni. Però ci conosciamo a memoria, ci dividiamo i compiti sia per aiutare la squadra sia per la leadership». Stasera servirà tutto. Rivisitazione dal senso più profondo dell'unione che fa la forza. Così ci abituarono Nesta e Cannavaro, Scirea e Gentile. Val la pena affidarsi alla sensibilità di Immobile e Insigne, una connivenza/convivenza d'attacco fatta di mordi e fuggi. Ciro ancora scarpa d'oro malgrado qualche flop e l'altro scarpa di diamante col tiro a giro che chiama l'abbraccio. Uno che tira l'altro, anche nell'idea di giocare insieme nella Lazio. Idea che non prenderà Barella e Chiesa, così simili nel giocare arrembante e nella voglia di spaccare le fortificazioni altrui, migliori simboli della gioventù calcistica nostrana.

E che dire di Locatelli e Pessina, ex milanisti arrivati in un soffio al protagonismo? Che sia a lieto fine oppure no, serviva un'Italia così: più fratelli e meno fardelli.

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