Città del Messico, 21 giugno 1970
Ore venti, Rai 1. Quella c'era una e non ancora trina. E nemmeno a colori, fatte rarissime eccezioni, privilegiate. Lite con la Francia, guarda un po' che strano, per il sistema da attuare, loro Secam, noi Pal, agitazioni in azienda Rai, finale mondiale in forse, poi si gioca e si vede. Da dove vogliamo incominciare? Dai sei minuti di Rivera? Dal debutto dei cartellini giallo e rosso? Da sua maestà Pelé che segna un gol, dei mille suoi, e un altro sontuosissimo gli viene annullato da quello sciagurato tedesco dell'est, arbitro Glockner.
Fu un san Luigi pieno di fatti e di misfatti, ormai la truppa azzurra era sfinita dopo i supplementari eroici contro la Germania ancora Ovest, a parte Boninsegna e Riva, protagonisti, il primo con un mezzo dribbling sul secondo, del pareggio d'avvio, il resto della nazionale nuotava nell'altura messicana, sfiancata, desiderosa del ritorno a casa per meglio respirare e, magari, godere del titolo di vicecampioni del mondo. Finì 4 a 1 con la torcida brasiliana che celebrò le arti pedatorie di Gerson, Jairzinho e Carlos Alberto, un treno o tir sulla fascia destra. Partirono gli azzurri di Ferruccio Valcareggi portandosi appresso, dopo i sogni anche gli incubi, quei sei minuti finale concessi a Gianni Rivera dall'ukase azzurro, diventarono un evento memorabile, sul quale si giocò non la fama dell'abatino ma quella dell'allenatore triestino senza colpa alcuna.
Furono pomodori, nel senso di lancio, all'arrivo a Fiumicino, fughe dalle uscite secondarie, polizia in assetto di guerriglia per contenere la rabbia di ultras delusi e ignoranti. La solita Italia che si guarda allo specchio pensando di essere la più bella del reame. Ma c'era Pelé, principe e re di quelle notti messicane.
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