Emerson Fittipaldi per molti è una dolce nostalgia: quello di una Formula 1 che si spera possa tornare quella di un tempo. «E mi auguro che con il cambio di proprietà finalmente ci si ricordi che questo è un campionato del mondo piloti. E che in tutti gli sport la gente vuole veder vincere gli atleti più che le macchine». Ed Emerson Fittipaldi 71 anni, due volte re della F1 e due volte vincitore a Indianapolis - è anche un imprenditore che ha coronato il suo sogno, la supercar EF7 che porta il suo nome che ha presentato al Salone di Ginevra e che gli faceva già brillare gli occhi a Monte Carlo, dove lo abbiamo incontrato qualche giorno prima. Quando ai Laureus Awards ha premiato Nico Rosberg: «Cosa penso del suo ritiro da campione in carica? Vi racconto una storia».
Prego, Emerson.
«La prima volta che divenni campione tornai a casa in auto da Milano a Losanna, abitavo lì allora. Vidi il giornale col mio nome e decisi: sono al massimo, mi ritiro! Mio padre mi guardò negli occhi e mi disse: se lo fai adesso, tra due anni sarai di nuovo dentro. Non puoi vivere senza le corse. Aveva ragione...».
Dunque?
«Non so se Nico resisterà. Anche se suo papà Keke aveva fatto come lui».
Intanto a Melbourne la F1 riparte. Favorita la solita Mercedes?
«Io prima di tutto spero che la nuova proprietà riesca a cambiare le cose: è importante far capire ai team che riuscire a mostrare il talento dei piloti è l'obiettivo numero uno».
Sì, ma la Mercedes...
«È stata troppo forte. Nel Circus ha contato troppo la parte meccanica e la differenza è stata troppo evidente. In questi anni i campionati sono stati decisi dalla tecnica e non dalle abilità di un pilota. E questo è sbagliato».
Colpa di Ecclestone?
«No, colpa, no: il circo dei motori deve essere grato a Bernie per quello che ha fatto. Ma il mondo cambia, dunque è tempo di cambiare».
La ricetta di Fittipaldi?
«Beh, per prima cosa Liberty deve far conoscere meglio la F1 in America, perché è da lì che si conquista il mondo. E negli Usa ci sono degli esempi da imitare».
Quali?
«Il campionato Nascar, che è fantastico: un esempio positivo di marketing. Hanno investito molto sui piloti: fanno una presentazione uno ad uno ai tifosi, c'è il tempo per parlare con la stampa, firmare autografi, accontentare gli sponsor. E poi c'è libertà».
In che senso?
«Libertà di esprimersi. In F1 il tempo per la comunicazione è limitato, un pilota quando parla ha il pr della scuderia dietro una spalla e lo sponsor dietro l'altra. È una noia incredibile, lo dice anche mio figlio Emerson».
Pilota anche lui?
«Sì, Emmo come me. A 7 anni ha cominciato a vincere sui kart in Brasile e ora che ne ha 9 corre negli Usa. Il suo sogno era vedere una gara di F1: l'ho portato ad Hockenheim ed ero imbarazzato. In un weekend è riuscito a vedere 4 piloti, solo Vettel è stato carino e si è fermato a parlargli».
Che delusione.
«Infatti: per questo dico che le cose devono cambiare. E anche le gare: sono troppo lunghe. Il mondo corre veloce, i giovani non hanno più tempo di stare due ore a vedere le macchine che girano in pista. Meglio sarebbe fare due gare di 45 minuti e subito dopo interviste libere con l'adrenalina in corpo, sai il divertimento. In fondo nel tennis uno come Nastase è ricordato ancora oggi...».
Torniamo al campionato che parte. La Ferrari?
«In F1 è solo una questione di tempo e il tempo è circolare: prima o poi le grandi squadre tornano in cima. Sta succedendo alla Rossa, perché la Ferrari è la F1 e viceversa».
Quindi ci sono speranze per i tifosi del Cavallino.
«Secondo me quest'anno il nuovo regolamento riserverà sorprese. E la Ferrari ha le conoscenze, i tecnici, l'esperienza e i piloti. Per cui...».
Per cui Vettel sfidante di Hamilton. Solo loro?
«Beh, se devo dire un altro nome punto su Verstappen. Pensi che ero nella commissione che ha deciso di non concedere più licenze a chi ha meno di 18 anni: non si può vedere correre un pilota che non ha neanche la patente di guida. Però Max è una vera eccezione».
Ovvero?
«È già maturo per diventare campione del mondo. Avrebbe già potuto guidare una F1 a 15 anni...».
È il nuovo Fittipaldi?
«Quello no, c'è già un altro Emerson. Mio figlio».
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