Milan, 10 e Ibra. Sì, la lode la merita proprio lui, Zlatan Ibrahimovic, i 39 anni timbrati da qualche giorno, e profeta ascoltato di questo giovane Milan che continua a fare collezione di successi. Sono appunto 10, tra campionato e coppe, scanditi da minimo due gol a partita che è pure una media confortante, all'alba di una stagione molto promettente e che fa sognare il popolo rossonero. Non solo perché lassù in cima alla classifica sventola il loro vessillo. A far di conto, ricucendo questo tratto di strada con quello precedente post lockdown, la striscia diventa da record: 24 risultati di fila, quasi due terzi di un campionato insomma. Se il 10 in pagella spetta al Milan, la lode è di diritto di Zlatan Ibrahimovic e di quel gol da mago inventato in un mischione incredibile a pochi rintocchi dalla sirena, nell'area dell'Udinese affollata di difensori. Sono rimasti tutti come ipnotizzati dalla leva dello svedese che arpiona col piedone destro e rovescia in rete il sigillo prezioso del 2 a 1. Addizionato all'assist perfetto servito sul piatto d'argento a Kessiè, nel primo tempo, per sgabbiare davanti secondo consolidata abitudine, fanno un'altra testimonianza del suo incredibile valore. «Brahim, devi darla a me»: qualche minuto prima di quella strepitosa acrobazia, Ibra riserva al talentino venuto in prestito dal Real Madrid la lezione che molti anni prima Marco Van Basten diede a un suo sodale, Carlo Ancelotti. «Mi disse Marco: dammi la palla e poi corrimi incontro ad abbracciare», ricordò l'attuale allenatore dell'Everton in uno dei rari amarcord della sua carriera milanista.
Ecco: il paragone non sembri azzardato. Perché Van Basten giocò in un Milan molto dotato, Zlatan invece sta portando a spasso per il calcio italiano un gruppo di giovani promesse che solo 14 mesi prima, proprio a Udine, all'alba dell'era Giampaolo, furono affondati da un colpo di testa di Becao. «Sono loro che mi fanno sentire giovane, io alzo la media... Lavorano duro e non sono mai soddisfatti, credono in qualcosa» la testimonianza diretta di Gulliver-Ibra che è pronto a dare una mano anche nei giorni difficili. Verranno: anche questo è sicuro. «Le responsabilità me le prendo tutte io... Dicevano che chi ritorna fallisce, io mi sto soltanto riscaldando. E se continuo così dirò a Maldini: fammi firmare altrimenti... non gioco la prossima» avverte alla sua maniera a dimostrazione che è qualcosa di più di un leader giunto al settimo gol in 8 partite. Ibra ha spinto il Milan dai blocchi di partenza, Ibra è andato a caccia degli altri due punti rimasti in bilico dopo il rigore (ingenuità imperdonabile) provocato da Romagnoli sull'affondo di Pussetto, la spina nel fianco della difesa milanista. Eppure sarebbe incompleta l'analisi senza citare l'intervento di Pioli dalla panchina per cambiare l'inerzia della sfida nella ripresa, quando il Milan sembrava inchiodato dalla fatica settimanale e dalla replica orgogliosa dell'Udinese. Gli arrivi di Tonali, Dalot, Brahim Diaz e Rebic hanno dato ossigeno e sangue al calcio non più lento e scontato nel quale il team si stava incartando. Tonali ha dato coraggio alle cadenze, Diaz ha recuperato l'imprevedibilità smarrita da Saemaekers, Rebic la concretezza sfuggita a Leao nella seconda parte del viaggio in Friuli: sono state le premesse per quell'assalto concluso dall'artiglio di Ibrahimovic.
Non è stato un successo comodo, tutt'altro che scontato.
Perché l'Udinese, ridisegnata col 4-3-3 da Gotti, è stata un rivale tosto, capace di risalire la china del primo svantaggio fino a raggiungere il rigore, contestato da Donnarumma, ma che nasconde l'imprudenza di Romagnoli. Tra lui e Kjaer, adesso, è il danese il punto di forza della difesa. Anche questo è il risultato del cambio di filosofia sul mercato.
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