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Ibra, tripletta sbagliata. L'agenzia di scommesse dopo rosso e ristorante

Dalla Svezia: socio in bethard.com, ma è vietato da Fifa e Uefa. Rischia fino a 3 anni di squalifica

Ibra, tripletta sbagliata. L'agenzia di scommesse dopo rosso e ristorante

Per Zlatan Ibrahimovic, una vita contro vento e contro corrente, le critiche, le censure e le polemiche sono sempre state le sue vitamine, tipo gli spinaci per bracciodiferro. Lo hanno tenuto in perfetta forma fino alla venerabile età di 39 anni consentendogli di smentire leggi antiche e luoghi comuni così da addomesticare scettici e rivali che lo avevano accolto al suo rientro in Italia con l'etichetta dell'arzillo vecchietto. Per molti mesi, nel 2020, è stato la musa riconosciuta del nuovo Milan uscito finalmente dal tunnel malinconico di classifiche deprimenti fino a riconquistare addirittura la stima del ct svedese. Poi nel 2021 ha cominciato ad attrarre guai uno dopo l'altro, acciacchi e la squalifica per una frase spacciata per critica irrispettosa dal permaloso arbitro Maresca. «Con Ibra non ci si annoia mai» riferiscono da Milanello dinanzi all'ultima eco dalla Svezia che da ragazzo l'ha isolato in un quartiere-ghetto di Malmoe, poi l'ha accettato e adesso non aspetta altro che l'occasione per scorticarlo vivo. È già successo con una storiella, datata, di un leone cacciato.

Adesso sono tornati alla carica con il quotidiano Aftonbladet che gli ha addebitato la partecipazione azionaria (10%) in una società con sede a Malta che si occupa di scommesse sportive, Bethard.com, attività vietata per Fifa e Uefa, paventando multe o addirittura squalifiche per i trasgressori. Ibra non è certo il tipo da farsene un cruccio. Fece una piega del viso appena quando l'accusarono di razzismo nel duello rusticano con Lukaku in coppa Italia. Dominò la scena sul palcoscenico di Sanremo regalando un numero da star una sera, saltando sulla moto di uno sconosciuto per aggirare l'ingorgo autostradale e presentarsi da Amadeus. Già, perché Ibra ha mille risorse e quando sembra finito in un angolo, fuori dai giochi, eccolo spuntare con quello sguardo malandrino da capo-branco che gli ha consentito di rifilare un paio di gol al Crotone e uno alla Fiorentina, servire due pasticcini dolcissimi ai suoi sodali in quel di Parma, prima del battibecco con l'arbitro.

Ibra è, come CR7, un'azienda e perciò quando non suda a Milanello, è pronto a occuparsi di affari e di futuro, firmando un contratto per un film oppure violando la zona rossa in un ristorante del centro di Milano a discutere con Ignazio Abate e altri conoscenti di business. C'è chi chiede di cancellare il suo spot per combattere il virus e lui tira dritto. «A noi interessa il calciatore» ripetono da casa Milan dove sono pronti a fargli firmare un altro contratto perché con i suoi 15 gol distribuiti in 17 partite è uno degli artefici dell'attuale secondo posto. «Da quando c'è Ibra, si è alzata la soglia dell'intensità negli allenamenti» riconosce Pioli che è diventato il suo alleato sincero.

Perciò nel mondo Milan continuano a considerarlo una sorta di profeta del rinascimento in atto e ad aspettare le sue prossime imprese balistiche con cui tagliare il traguardo della Champions.

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