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"Io ambasciatore delle Olimpiadi. Bel finale per una vita diventata un film..."

L'ex campione Kristian Ghedina: "Dicono che porto gioia, è la mia vittoria"

Kristian Ghedina
Kristian Ghedina
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Non ha fretta, ma va veloce: Kristian Ghedina ha impiegato 256 gare di discesa in coppa del Mondo a capire quanto i Romani avevano già teorizzato anche senza sci. Festina lente: vivere con ritmo, senza scapicollarsi. Alla vigilia delle Olimpiadi che lo vedono ambasciatore e tedoforo d'onore (oggi arriva la Fiamma in Italia), Kristian si regala e regala un film ma anche un libro, Ghedo, come il suo soprannome.

Si è mica montato la testa?

"No, ma ho messo ordine ai ricordi. Sono un boomer, non amo i social, ma volevo raccontare un po' di me".

Storie di Sci regia di Paolo Galassi e musiche di Francesco Baccini: fra la spaccata in volo sulla Streif di Kitz, il capriolo che corse parallelo alla sua discesa di val Gardena, l'investitura di Zurbriggen che sentenziò, Sarai il mio erede. La sua vita è già un film.

"Ma ci sono anche tanti amici che parlano di me, da Paolo De Chiesa a Peter Runggaldier, da Isolde Kostner ad Alberto Tomba, Lara Magoni".

Simpatico, bello, scavezzacollo, generoso: cosa manca?

"Sono anche ordinato, meticoloso. In pista come a casa. Amo asciugamani piegati precisi, odio stirare perché non vengono bene le pieghe, soprattutto con i vestiti un po' datati ed io conservo tutto".

Che incubo: ha ancora la lingerie portafortuna con cui gareggiava sempre?

"No, si è consumata e poi per fortuna oggi ci sono indumenti antitaglio, tecnologici".

Già, la sicurezza: Bassino, Rossetti out, Brignone ci prova, gli azzurri sono decimati e anche fra gli stranieri ci sono molti forfait.

"I big nell'anno olimpico hanno sempre più pressione e qualcuno si fa male. Le Olimpiadi, però, a volte sanno raccontare anche storie di outsider. Speriamo almeno in questo".

Però, con gli incidenti di Lorenzi e Franzoso, bisogna riflettere sulla sicurezza.

"Nelle gare veloci deve essere chiara una cosa. Se cadi, all'80% ti fai male".

Qual è la sua ricetta? Partiamo dalle piste.

"Modello circuiti di Formula 1: investire per avere delle piste allestite come in gara. Reti, vie di fuga, elicottero, equipe medica. Detto questo c'è il destino: ho perso mia mamma sugli sci. Non credo si sarebbe salvata se ci fosse stato l'elicottero".

Lei fu il primo ad usare i paraschiena in gara. Poi fu il primo, da ex atleta, a testare l'air bag. Cadendo apposta, rimediò anche diversi colpi di frusta.

"Vado fiero di aver fatto da apripista ad oggetti, oggi, fondamentali. Detto questo non si può vestire un atleta come robocop. Io agirei più sulla mente: tutti oggi hanno un mental coach. Che sia lui a far capire ai ragazzi che con la velocità non si scherza".

Lei non l'aveva

"No e sugli sci son stato fortunato. Quando ho debuttato nell'automobilismo però, Alesi, Patrese ed anche Zanardi vennero a dirmi: con le auto non puoi sbagliare. E ho capito".

Ridurre la velocità, tornare ai vecchi attrezzi sono soluzioni praticabili?

"Ridurre la velocità forse, ma invertire la rotta con l'evoluzione dei materiali è impossibile e pericoloso. Io ho provato".

Che cosa è successo?

"Nella mia gara di addio nel 2006, scesi con gli sci del mio debutto: mi sembrava di non saper più sciare. Ad un evento gareggiai con Celina Seghi. Lei con sci moderni, io con i suoi. Mi battè".

Che Olimpiadi si augura?

"Per Cortina la linea del traguardo non sarà la fine dei Giochi: ora ci sono mille lavori, ma così entreremo nel futuro".

Nel libro dice che la sua vittoria più grande è essere l'uomo che è diventato.

"Si,

vorrei leggere ai miei figli questo libro. E poi la mia felicità è la gente. Un giorno mi han detto: "Dovresti girare tutti gli uffici il lunedì mattina. Porti gioia, motivazione e positività. Se è così, ho vinto davvero".

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