Irma la poco dolce svela il segreto: "Vi spiego perché la boxe è femmina"

Caduta a Rio si è rialzata: "È l'aspetto mentale dietro i pugni"

Irma la poco dolce svela il segreto: "Vi spiego perché la boxe è femmina"

Irma era piccolina e non parlava l'italiano. Prendeva a pugni il mondo nelle strade di Torre Annunziata, ma non riceveva indietro mai nulla di buono. Poi è arrivato il ring, un po' per gioco. Aveva 11 anni, voleva imitare la sorella più grande, era un po' una sfida. Non è mai più scesa, perché ha fatto una scoperta che ai più sembra incredibile: «La boxe è femmina». Irma Testa è medaglia olimpica di Tokyo, non sa bene ancora quale, ma entrare nelle semifinali del torneo dei Giochi (ora incontrerà la filippina Petecio) vuol dire già poter guardare gli altri con gli occhi che brillano. Anche gli uomini, perché di italiani in Giappone non ne è arrivato a combattere neanche uno.

Colpire, evitare, cadere e poi ricominciare sempre da capo: quante volte l'ha fatto in questi anni. E quante volte c'è stata la tentazione di mollare tutto, lontana dalla famiglia, da casa, dalle certezze: «Poi, però, è arrivata Rio...». Cinque anni fa, le Olimpiadi più sgarrupate e simpatiche della Storia, uniche anche perché per la prima volta c'è una ragazza italiana nel pugilato. La chiamano Farfalla, Irma. Aveva 19 anni, era già una vita intera. Perde nei quarti di finale, la sua vera categoria non esiste neppure («si passava da 51 a 60 chilogrammi, e io ero troppo per la prima e troppo poco per la seconda»), si ferma a un pugno dall'impresa: «Ero giovane, mi ha segnata, volevo lasciar perdere. Dopo un anno di stop, ho deciso che ci avrei riprovato, programmando tutto nei minimi particolari. Sono riuscita persino a superare il rinvio di un anno dei Giochi: a quella sconfitta ora non ripenso spesso, ma quando lo faccio mi dà la carica perché non ricapiti. So cosa devo fare, non sono più una ragazzina ora...».

Irma è ancora piccolina ma non ha più problemi a parlare l'italiano. C'è pure la categoria per lei, 57 kg, e si sente al centro del ring. La donna che è oggi lo deve a due uomini, il Maestro e il professore. È tutto raccontato in un docufilm, Butterfly, la Farfalla appunto, che ha fotografato tre anni - dai 15 ai 18 di match e allenamenti. Il Maestro, Lucio Zurlo, è quello che l'ha tirata fuori dalla strada e dalle incertezze, quello che le ha insegnato a parlare corretto («prima ancora di insegnarmi la boxe») e a stare al mondo. Il professore è invece è Emanuele Renzini, il responsabile del Centro tecnico di Assisi, che l'ha accolta otto anni fa, ha sconfitto ogni tentativo di depressione facendole da terzo padre: «Non è stato solo un insegnante: quando mi sono innamorata la prima volta, l'ho confidato a lui».

Così la Farfalla è arrivata a medaglia. E qualunque metallo sia, la sua sfida Irma l'ha già vinta: «Non è solo per me, ma per tutte le ragazze che hanno capito che il pugilato è uno sport per loro.

Siamo finalmente in tante: non è solo fare a pugni, ma c'è un aspetto mentale, fregare l'avversaria, prenderla in contropiede. Quando sai di averlo fatto, capisci perché la boxe è femmina». Provate, se volete, a contraddirla.

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