Italia senza gioielli ma esporta Diamanti e padroni del pallone

Italia senza gioielli ma esporta Diamanti e padroni del pallone

Qualcuno si chiederà perché l'Italia non esporta grandi giocatori. Risposta semplice: perché non ne abbiamo. Al massimo possiamo vantare qualche vecchio trapezista del pallone, qualche pallone d'oro de no'antri, parte un Del Piero a fine carriera, basta leggere i nomi dei titolari in nazionale per capire: tolti Buffon e Pirlo, ormai datati nell'età, il resto è vanità più che rarità.
Poi ci sarebbe quell'altra ragione: un Paese calcistico, abituato fino all'altro ieri a tenersi i cocchi in casa, trascura in fretta gli esportati che non fa rima con esodati (per loro fortuna) ma fa rima con dimenticati. Non a caso Alino Diamanti, nome e cognome indimenticabili per originalità, prima di firmare il suo contratto da tre milioni di euro con i cinesi del Guangzhou ha fatto una telefonata a Prandelli per capire e annusare l'aria. Mi tieni d'occhio o volti pagina? E quello a rassicurarlo: sì, figurati, penso a tutti, anzi vengo pure a vederti in Cina. Un viaggetto a Pechino non fa mai male, purchè breve. In realtà, i nostri emigranti del pallone hanno faticato a farsi ricordare. Vero che Prandelli richiama sempre il portiere Sirigu e Verratti dalla Francia, ha ripescato Thiago Motta per disperazione, non ha ignorato Balotelli, ma poco altro. Criscito è stato estromesso per altre ragioni. Se in Italia ci fosse qualcosa di appena meglio, chissà. Basta sfogliare l'almanacco del nostro calcio estero: Viviano, Roma, Giaccherini, Bocchetti, Santon e Dossena, Borini, Borriello, fino all'anno scorso Luca Toni, perfino Graziano Pellè, che nel Feyenoord segna quanto un grande goleador (non fu così fortunato alla prima esperienza olandese, 2007-2011, all'Az Alkmaar) e in Italia è nobilmente snobbato. A ragion veduta, viste le delusioni ricevute nel nostro campionato.
Una delle poche eccezioni è stata quella di Pepito Rossi che, giocatore di autentico valore, ha imposto presenza e bravura anche agli occhi di Prandelli. Ed ha mandato ko l'orgoglio di Marcello Lippi che, anni dopo, ha ammesso pubblicamente il rimpianto di non averlo convocato per i mondiali 2010. Ogni tanto il tempo è galantuomo, quando i ct ci vedono poco.
Il caso Rossi, andata e ritorno felice nel campionato di serie A, è abbastanza inusuale. E ora diremo, con facile battuta, che esportiamo Diamanti, ci siamo riportati a casa un Pepito d'oro ma il meglio, cioè i gioielli d'esportazione, lo abbiamo in panchina. La lista è lunga e documentata da tanti trofei: Capello, Ancelotti, Trapattoni, Mancini, Spalletti, Ranieri, Zaccheroni, Lippi. Nomi e personaggi sottolineano la specialità: siamo ancora i re della tattica, della strategia percorsa nella cura del particolare. Se n'è accorto Mourinho quando è venuto in Italia: ha dovuto studiare, capire, si è perfino lamentato degli scherzi tattici che non si attendeva dagli avversari. Al di là degli assiomi sacchiani, seguiti da discepoli non sempre illuminati, la cultura italiana del calcio porta garanzie, difficile che un nostro tecnico fallisca all'estero (ce ne sono tanti altri da Zenga a Sonnino) perché sa adattarsi meglio al calcio altrui e imporre alcune priorità nostre e il sangue doc che tien d'occhio sempre la buona difesa. Fra l'altro è particolarmente premiante il fatto che oggi grandi allenatori siano stati pure grandi calciatori: nel passato non era così facile.
Infine l'ultima moda, in controtendenza con lo stato economico nazionale: esportare padroni del pallone. La famiglia Pozzo ha messo mano sul Granada (Spagna) e Watford (Inghilterra), Flavio Briatore ha fatto esperienza con il Qpr, Igor Campedelli, ex padrone del Cesena, oggi è direttore generale dello Sporting club Olhanense in Portogallo. Ora tocca a Massimo Cellino che, proprio ieri, ha annunciato di aver venduto il Cagliari (compratori da svelare) e si dedicherà al Leeds acquisito con il 75% delle quote. Buon per gli inglesi (Cellino è un buon talent scout), fors'anche per il Cagliari se l'ex padrone avrà avuto buon fiuto come gli capita per i giocatori. Una volta di più non c'è da stare allegri.

Esportiamo allenatori doc, fatichiamo ad importare campioni esteri, non abbiamo giocatori da vetrina, ma importiamo padroni esteri: qualcuno esotico, qualche altro americano, mai col portafoglio a fisarmonica. Eterno piacere del dubbio e della scommessa.

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