Nostro inviato a Rio de Janeiro
Resettiamo tutto. Sapevamo di non avere calciatori da esportazione, al massimo da orticello. Balotelli, ma non solo lui, ha appena confermato la tendenza. Pensavamo di avere dei tecnici da esportazione: vedi Ancelotti che vince la Champions, pensi a Mancini, Spalletti e compagnia viaggiante. Poi arrivi al mondiale e schieri tre pezzi grossi: Zaccheroni con il suo dignitoso curriculum, Capello con le sue lauree da panchina e metteteci anche Prandelli, piacente seppur mai vincente. Ed ora ne usciamo con le panche rotte: Zaccheroni ha incartato perfino il Sol Levante e ieri si è dimesso, Capello digrignante ma non convincente nel gioco e nella gestione della Russia, e Prandelli che fa coppia con lo sciagurato Egidio di lontana memoria. E stavolta è proprio questione di mano (dei tecnici) non solo di piedi. Il mondiale ha dimostrato che non serve essere pluridecorati, sia in campo sia in panca, per cavarne una buona figura. Forse bisogna essere tecnici tarati per la nazionale. Il vecchio maestro Tabarez si è affidato al senso tattico, alla dignità dei suoi giocatori e a un po' di fortuna per uscirne indenne, tecnici e squadre del CentroAmerica non sono il top del mercato eppure lottano e conquistano posizioni con una buona base di gioco. Prandelli si è riempito la bocca (ma è in buona compagnia di colleghi allenatori e giornalisti) parlando di gioco e tattica, ci ha rifilato il verbo «osare» almeno una volta al dì, eppoi si è dimenticato di dire ai suoi giocatori come si fa.
Obiezione: tipico italiano. C'è chi fa e c'è chi parla. Ma qui è tutto lo sport nostro che sta prendendo una brutta piega. Mancano talenti, ma soprattutto mancano buoni insegnanti. I tecnici stanno affrontando una battaglia di retroguardia. Saranno incapaci i dirigenti federali che affidano le squadre agli uomini sbagliati o sarà forse un limite di scuola? Sarà mai possibile vedere l'Italia della pallavolo perdere con l'Iran? O quella del rugby farsi sberlare dal Giappone? Il basket ha qualche talento fra le mani eppure salta Olimpiadi e mondiali, neppure fosse una cenerentola del terzo mondo dello sport. Si salva qualche campione delle discipline individuali. Ma la Pellegrini, tanto per fare un nome, si è dovuta rivolgere ad un tecnico francese per ritrovare le sue potenzialità. L'atletica veleggia nel mare della mediocrità. Non c'è Paese al mondo, foss'anche un'isoletta nell'Oceano, che non riesca a far crescere, irrobustire, esplodere un talento. Da noi non ci sono o non li trovano. E se per caso ne colgono uno stranamente sfiorisce. Siamo riusciti perfino a far peggiorare gli atleti naturalizzati: nemmeno fosse l'aria che respirano.
Il calcio si è adeguato: non c'è più gran qualità, si va per quantità. E quando si pesca qualche fiore ci vuol poco ad appassirlo. Vale sempre il vecchio detto: bravo è l'allenatore che riesce a non rovinare i calciatori. Nulla di più e, francamente, ce ne sono pochi. Il sistema Udinese è perfetto per costruire un vivaio adatto alla vendita, non altrettanto per mandare in gloria il calcio di un Paese. Sennò sarebbe semplice: prendete tecnici e sistema e rilanciateli in nazionale. Prandelli ci ha inondato di pillole di etica, ma poi non ci ha fatto vedere il gioco. C'è un abisso filosofico e calcistico fra la squadra dell'Europeo e questa del mondiale. Non era fenomenale quella, è apparsa demenziale questa. E quando un ct della nazionale comincia a parlare di progetto (sì, anche Sacchi non ci lasciava in pace) significa che deve cambiare panca.
Il progetto per una nazionale non può esistere perché tutto è troppo temporale, immediato, condizionato dal risultato. E se qualcuno nello sport nazionale volesse costruire, e non sfasciare, dovrebbe cominciare ad istituire una scuola per tecnici da nazionale: che è diverso dall'esser tecnico di club. Non ci vuol molto a capirlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.