John, Henry e l'essenza dei motori

di Benny Casadei Lucchi

John Surtees è talento, è sorriso, è coraggio, è vita, è morte, è rimpianto, è l'essenza degli sport motoristici. John Surtees è un cavaliere del rischio che smontava da una moto e s'infilava dentro una monoposto e correva e vinceva. È un pilota che nella stagione millenovecentosessanta era stato capace di vincere il settimo titolo in sella alla sua e nostra amata MV-Agusta e poi afferrare negli stessi mesi il volante di una monoposto per correre a Monte-Carlo che fra tutti i Gp è da sempre il più lontano dalle moto. John Surtees è un signore che disse no a Enzo Ferrari perché non si sentiva pronto e gli disse di sì tempo dopo vincendo un mondiale. Un signore ambizioso che fece cose che mandarono in bestia il Drake spingendolo a licenziarlo, tingendo di giallo e leggenda l'altra sua carriera di costruttore in F1.

John Surtees è quel padre fiero ed emozionato che mi raccontava di sé e del figlio Henry, piccino di 12 anni, «ci divertiamo un mondo io e lui con la tenda in auto e il go kart sul carrello andando per circuiti ed come sognare vederlo correre». Quel padre fiero che un fottuto giorno del 2009 vide il figlio 18enne morire ammazzato in una gara di F2. Perché le corse sono talento, sorriso, coraggio, vita e morte.

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