L’apprendista stregato soldatino di Moratti

L’apprendista stregato soldatino di Moratti

nostro inviato a Appiano G.

«Mortacci quanto sei forte!», firmato Bruno Conti. Un sms di un vecchio amore dell’Italia calcistica racconta un ragazzo. Forse un allenatore. Per ora un tipo dagli occhi furbi e le parole fumose, rude parlata romanesca, faccia tira baci, già pronto per la coda femminile delle squadre di calcio. Un incrocio tra un giocatore e un apprendista stregato, prima ancora che stregone. Stregato da Arrigo Sacchi («a volte mi tira le orecchie, a volte mi fa complimenti») e Luciano Spalletti («Tutti e due abbiamo preso 7 gol in Inghilterra»), da Mourinho, definito un mito (figuratevi se le vedove giornalistiche non gli imponevano l’inginocchiata davanti al santino) e da tutta l’Inter. Stregato da quelli che chiama angeli custodi (Paolillo e Branca, sicuri che siano angeli?), ovviamente da Massimo Moratti.
Lo chiameranno StraMax, che è appunto l’incrocio tra Andrea Stramaccioni e Massimo (Moratti). Moratti dice e quell’altro ripete. Racconta con l’estasi sulle labbra: «La passione del presidente ha aumentato la mia! In sintesi mi ha detto: dobbiamo vincere! Ed io ora mi trovo in un bel sogno». Il «dobbiamo vincere» di Moratti sarà risuonato milioni di volte nelle calde mura di casa, della Saras, di Appiano, di qualunque altro posto al mondo dove il presidente abbia dispensato il suo tifo ultras. Poi ci sono le partite e Moratti si ritrova con un record di 18 allenatori in 17 anni, cinque negli ultimi due.
Stramaccioni è un cognome umbro, dunque la verve chiacchierina non manca. Cognome lungo, anzi debordante, e pare che così sia il personaggio: debordante nella sua linfa vitale. Che, dice lui, è quella che sa trasmettere sul campo. «Sono umile ma sicuro di me e di quello che so fare. Non ho paura di bruciarmi, sono l’ultimo arrivato, ho le mie idee». Giovanile fervore. Ed, anzi, quando Mario Balotelli si è affacciato alla conferenza stampa di Appiano, con tanto di regia societaria, dopo essere sfrecciato con la sua Rossa Ferrari, a tutti è apparso perfin naturale veder rispuntare il miglior fiore del vivaio nerazzurro. Quasi un segno del destino. «Cos’è? Una carrambata», ha esclamato sorpreso Stramax, che per un attimo si è fatto piccolo davanti a quell’altro che sa riempire l’aria anche, e soltanto, con la presenza e stravaganze connesse. Certo, poi pensi alla sua storia, volato via per quegli incroci pericolosi con lo spogliatoio nerazzurro. E sarà venuto freddo anche a Stramax.
Gli incroci pericolosi di “Balo” saranno gli stessi che gli toccherà affrontare. E Stramax è parso molto più giovane, pur avendo 36 anni che non sono pochi ma sono la giusta età per l’innamoramento morattiano. Insieme al tecnico, l’Inter ha cambiato qualcosa anche nello staff e nel settore degli osservatori. È arrivato Valentino Angeloni, uno che ha lavorato quattro anni all’Udinese dove ha pescato buoni giocatori. Eccolo il segnale del presidente: tecnico giovane, nuove facce in società. «Ci fermeremo qui», ha fatto sapere. Un avviso per i giocatori, che Stramax ha cercato di carezzare a modo suo. «Io rispetto loro e loro mi danno del lei perchè rispettano me. Ma quel che conta è che sono giovani dentro. Ho visto capitan Zanetti più sveglio di un ragazzino della Primavera».
L’inchino è dovuto, il rispetto alle vecchie glorie pure. Inutile chiedere di Sneijder e altre spine. Moratti gli ha fatto lezione, tanto che a fine conferenza l’ha chiamato per fare i complimenti. «Tutto bene». Sì, fino a quando? Stramax è un pallino che ha preso corpo mese dopo mese. Il successo, nella pseudo Champions baby, la chicca per convincerlo e spingerlo a provarci. Stramax racconta di essere quello che guardava la prima squadra «dall’altra parte del cespuglio». Evita le “tranellate”. Predestinato? «No, meglio fortunato». Prima parla di un calcio da insegnare, poi ricorda dove si trova e si corregge: «No, non posso insegnare a nessuno. Posso solo trasmettere le mie idee». Già meglio. Pensate un po’ alle facce che in quel momento avrebbero avuto Cambiasso, Milito, Maicon e compagnia. Tutti bravi ragazzi, professionisti meravigliosi, ripete Stramaccioni così come lo ripeteva Ranieri, tanto da far venire noia perfino a Moratti. Sì, c’è un momento all’Inter in cui non basta più esser furbi, parlare bene, mostrare bella presenza.

C’è un momento in cui bisogna vincere. È il grido della giungla di Moratti, talvolta della disperazione. Quello così tanto piaciuto a Stramax. «Non bisogna esser scienziati per capire». Poi è vero: l’Inter non è una giungla. Soltanto una sabbia mobile.

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