L’intervista Lionello Manfredonia

Defibrillatoriobbligatori e visite più approfondite

L’intervista Lionello Manfredonia

Come Muamba, Lionello Manfredonia è tra i pochi sopravvissuti a morti improvvise sui campi sportivi. A 56 anni è agente Fifa, segue trasferimenti internazionali e molti giocatori di serie B e Lega Pro, a lungo è stato ds.
Lionello, sabato era davanti alla televisione...
«Stavo seguendo la diretta di tutte le partite, assieme a mio figlio più piccolo, Matteo, 7 anni. Aveva già visto le immagini di quanto accadde a me. Si è subito reso conto che stava avvenendo un episodio, purtroppo è finita in tragedia».
Lei invece dopo due settimane in ospedale fu dimesso.
«Bisogna capire, anzitutto, che cosa abbia ucciso Piermario. Se infarto o aneurisma».
In autunno Antonio Cassano visse un piccolo ictus, dopo una partita, ma è tornato in campo alla vigilia di Pasqua.
«È un caso diverso ancora, non generalizziamo».
Come valuta la tragedia di Pescara?
«Resto sconfortato, peraltro credo incida molto la casualità. In Italia ogni anno si verificano 80mila casi di arresto cardiaco, quando accade a una persona conosciuta aumenta l’impressione collettiva, tantopiù per un professionista dello sport».
Il suo cuore per quanto si fermò?
«Non ho mai approfondito lo stop, neanche a posteriori. Mi parlarono di arresto cardiaco, senza infarto. Poi di sincope vagale, non c’è mai certezza, anche di fronte alla diagnosi».
Come si salvò?
«Ero nelle mani del destino, del Signore. C’era l’ambulanza sulla pista d’atletica dello stadio Dall’Ara, in quel Bologna-Roma del 30 dicembre 1989, e all’interno aveva il defibrillatore. Il soccorso fu immediato».
Stavolta invece è stata intralciata da quella macchina dei vigili urbani.
«L’apparecchio per la rianimazione, tuttavia, era a bordo campo. È questione di attimi, magari il cuore si ferma e riprende con le sollecitazioni elettriche».
E quel Moumba, rimasto per 78’ senza attività cardiaca?
«Mah. Mi sembra quasi incredibile, come situazione. Ogni caso è davvero differente, dipende anche dalla reazione neurologica».
Manfredonia ha più ottenuto l’idoneità sportiva?
«Me l’hanno revocata, la carriera era già agli sgoccioli, a 33 anni, poi non ho mai presentato ricorso. Feci tanti esami, in quell’ospedale del ricovero, ma il cuore era a posto».
È più tornato in campo?
«Con gli amici, a calcetto e calciotto, gioco ancora. La mia vita è normale».
È possibile la prevenzione?
«Difficile.

Metterei l’obbligo del defibrillatore in ogni impianto sportivo, anche delle categorie dilettantistiche o amatoriali. E poi approfondiamo gli esami da bambini, alle prime idoneità, già a 8 anni si può intuire qualcosa, invece in genere è effettuata una semplice visita dal pediatra».

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