L’umanità autentica del calcio in lacrime

Sono campioni che non hanno bisogno di occhi lucidi per farsi amare dalla gente

L’umanità autentica del calcio in lacrime
Fermate l’immagine sulle lacrime di Rino Gattuso. Poi su quelle di Zambrot­ta, poi su quelle di Van Bommel, poi su quelle di Inzaghi, poi su quelle di Del Piero. Diverse, uguali. Il campo di pallone è l’ul­timo tempio dell’emozione. Ti prende, ti av­volge, ti copre. È tutto quello che non puoi trovare altrove. È tutto quello che trasforma questo sport in una meraviglia assoluta. Piangi, allo­ra. Perché lì c’è vita.In un mondo fal­so, questo è un pezzo di realtà. È la condivisione di qualcosa: un miliar­dario in calzoncini corti che sparti­sce la stessa passione con il disoccu­pato in tribuna. Piangono perché vi­vono la fine di un sogno che hanno realizzato. Chi crede nel calcio, cre­de a quei singhiozzi, crede a quelle facce imperfette e deformate dai pianti.

Dicono: questa è la generazione degli sportivi patinati, quelli col fron­tino, con l’orecchino, col tatuaggio, quelli attenti al look, quelli meno uo­mini dei veri uomini. Guardali in quel fermo immagine: sono brutti, adesso. Sono goffi, come noi tutti quando piangiamo. Orgogliosi di un antiestetismo che non gli appar­tiene quasi mai e che invece ora ostentano. Se ne fregano della bel­lezza, ora. E forse sono più autentici dei predecessori che sembravano veri solo all’apparenza.Quelli con la maglia di lana, per intenderci. Quel­li che piacciono perché sono la no­stalgia. Non piangevano, loro. Nes­suno pensa che forse erano peggio­ri? Ecco: lasciate gli zombie nel loro regno, qui ci teniamo questi fighetti che però sanno trasmettere emozio­ni: le lacrime sono loro e sono no­stre. C’era uno stadio intero, dome­nica, che piangeva per Del Piero. C’era un altro stadio intero,domeni­ca che piangeva per Inzaghi e i suoi fratelli. C’era un pezzetto di stadio, ieri, che piangeva per Di Vaio. Tori­no, Milano,Parma.Che cos’era quel­la gente che si commuoveva? Un film? Era la vita, vissuta in un non luogo che a volte sa diventare il luo­go perfetto.

Sono più vere le lacrime per il cal­cio di quelle di un ministro per i pen­sionati. Il problema è che i calciatori sono considerati uomini di serie B. Troppo viziati dal mondo per essere autentici. Provate a vivere dieci o vent’anni con l’affetto della gente e a smettere. Provate a mettere ogni domenica il piede in un’arena con trenta - quaranta - cinquantamila persone che ti guardano. Provate a gestire le emozioni che crea il calcio. Provate a viverle e poi diteci se non vi viene da piangere. Non sono mi­gliori, sono ragazzi. Gattuso non ha bisogno di piangere per farsi amare.

Del Piero non ha bisogno di avere gli occhi lucidi per essere il re della Ju­ventus per sempre. Succede. Le la­crime sono una forza. Una domeni­ca ha regalato tanti pianti da farceli bastare per una stagione. Ci ha ridato il calcio, ammesso che qualcuno ce lo possa mai portare via.

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