Un lampo verso l’eternità. È la legge di questa epoca

I Giochi sono nati con la soggezione della maratona. Oggi i miti di Olimpia sfidano la velocità impossibile

Un lampo verso l’eternità. È la legge di questa epoca

Ai blocchi, perché si corre per la gara più veloce che diventa eterna. Pronti. Nove secondi in tutto e nove secondi di tutto. Stasera le Olimpiadi celebrano se stesse.È l’omaggio alla nostra era:istan­tanea, rapida, fulminante. È la corsa col cronometro. I Giochi sono nati con la soggezione della maratona: l’uomo più forte era quello che resisteva di più. Era la sfida alla fatica, la guerra alla stanchez­za. Oggi Superman è chi va più veloce. È il Novecento che ha svoltato. Ci ha rega­lato il senso dell’immediatezza.
Non tut­to e subito, ma subito e tutto. Lo sport ha capito prima di altri: la maratona è un film, i cento metri sono uno spot; la mara­tona è un libro, i cento metri sono un twe­et. Sono nostri: presente e futuro. Usain Bolt e i suoi fratelli saranno le star assolu­te. Il mondo che si collega con una pista d’atletica per nove secondi. Poi può an­che cambiare canale. Solo che quell’imma­gine non passa con il telecomando. Si vola per restare. Perché l’uomo è stato fatto per correre, solo che fi­no a un certo punto pensava che correre fosse sbattersi, arriva­re sfiniti come Doran­do Pietri, guardare il traguardo di uno sta­dio dopo 42 chilome­tri e 195 metri.
Jesse Owens ha cambiato la nostra vita: ha glorificato questa gara imperfetta che è diventata perfetta. Per un velocista i duecento sono un’altra co­sa: più difficili,più tecnici,più eroici.C’è la curva da fare e c’è la forza da dosare.Il record dei duecento di Pietro Mennea è durato una vita perché non bastava­no le scarpe, l’allenamento, la forza per superarlo. Bisognava essere im­peccabili: la velocità maggiore, la posizione giusta,l’aerodina­mica esatta, il cambio di passo esemplare. I duecen­to sono più raffinati: hai bi­sogno di calcolare, hai bi­sogno di pianificare. I cento sono più bana­li: pronti, parten­za, via, chi spin­ge di più vince.
È questa la lo­ro forza: sape­re che in tutta quella semplici­tà c’è il significa­to totale dello sport e dell’era che viviamo. Gli altri scompaio­no, il più veloce re­sta. I miti di Olim­pia sono sempre lo­ro, no? Jesse Owens, Carl Lewis, Usain Bolt. Non c’èniente da fare e niente da dire: questa ga­ra porta nell’eternità in meno di dieci secondi. Vinci e sei lo sport. Vinci e per quat­tro anni sei l’at­leta più in­c redibile del mondo. Fino alle pros­sime Olimpia­di e oltre. Quat­tro anni fa, a Pechino, il mondo si chiese se fossero i Giochi di Bolt o di Phelps. Cioè: per entrare in competizione con gli uomini jet devi vincere otto medaglie d’oro. Otto.
Lo sport segue la nostra vita. La velo­cità paga. Ecco: ci ricordiamo i nomi di tutti quelli che vincono i cento metri, mentre è dura ricordarsi quelli di chi vince la maratona, o un’altra gara. Non c’è evento che possa reggere il confronto: non regge una parti­ta del Dream Team, né una qualunque ga­ra di nuoto, né la fina­le del calcio, della pal­lavolo, di qualunque altro sport. Se ci sono I cento metri ci sono i cento metri. C’è che i figli della luce brilla­no di più dei figli del sudore. Abbiamo smesso di cercare il confine ultimo del­lo sforzo, ma non riusciamo a resistere a continuare a trovare il limite della ve­locità. Cercare l’irraggiungibile:abbia­mo abbattuto il muro dei dieci secondi e non c’è bastato, abbiamo abbattuto quello dei 9”90, dei 9”80, dei 9”70, dei 9”60. L’obiettivo è scendere ancora. Perché vogliamo sapere se sia possibi­le anche l’impossibile. Li chiamiamo
marziani, ogni volta che finisce una ga­ra. E così nascondiamo il senso di am­mirazione e di inadeguatezza verso chi vive all’estremo la nostra epoca: più veloci di tutti. Apriamo la bocca e diciamo: non può essere. Poi comin­ciamo a chiederci dove potremo arri­vare, quale sarà l’altra barriera. La ri­sposta la cerchiamo ogni quattro anni, in questo giorno: il giorno dei cento metri.L’uomo contro se stesso,contro gli avversari e contro il tempo. Un lam­po di nove secondi e cinquantaquat­tro centesimi. Fermatevi tutti a Lon­dra. Fermatevi tutti su Londra. Il re­cord di Usain Bolt è il nuovo termine di paragone con il presente. Si può abbat­tere? È la trasposizione nello sport del­la nostra evoluzione: Jesse Owens era una macchina per scrivere, Carl Lewis il computer, Bolt, Blake e gli altri che scendono in pista stasera sono i social network.

Un filone dove uno si tiene con l’altro, dove uno non esisterebbe senza l’altro. La gara è un tweet. Rac­conta la storia l’uomo più veloce. Oggi devono bastare 140 caratteri. Anche se per scriverli ci vogliono più di nove se­condi.

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