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L'argento di Montano illumina l'addio di coppia per mano alla Pellegrini

Aldo 42 anni e Fede 33, da Atene 2004 a Tokyo. E lui trascina alla medaglia la sciabola a squadre

L'argento di Montano illumina l'addio di coppia per mano alla Pellegrini

Un inchino al grande vecchio, per ora più grande che vecchio. Un sorriso per questo gran finale del cavalier guascone che cominciò a raccogliere incenso e mirra ad Atene 2004, l'Olimpiade che regalò le prime medaglie di due messaggeri d'amore (in tutti i sensi) del nostro sport. Infilava un oro e un argento a squadre la sciabola di Aldo Montano, nipote di Aldo, figlio di Mario, imparentato a tutta una stirpe di vincenti. E così pure l'Italia scoprì Federica Pellegrini 16enne di stirpe veneta, senza pedigrèe di famiglia olimpica, che mise il muso, con qualche lacrima, per un argento che poteva essere oro nei 200 stile libero che l'avrebbero resa Regina. Hanno cominciato insieme ed insieme chiudono l'avventura: la magia di una storia non poteva raccontarsi meglio. Aldo saluta con un argento a squadre che arricchisce la collezione, 5 medaglie per 5 olimpiadi (ci sono i bronzi a squadre di Pechino 2008 e Londra 2012), e lasciandoci la grande interpretazione di una finale. Riassunto della sua filosofia di vita sportiva. «La scherma è arte, ma anche battaglia che regala adrenalina». Ed ecco perché, a 42 anni, si è ripresentato in pedana, pur sapendo che il futuro gli riserverà una protesi all'anca, ricordo di una vita da campione.

Aldo e Federica hanno interpretato due vite da campioni. Forse il destino aveva un piano nel farli chiudere sul grande palcoscenico. Come dire: ragazzi, guardate e imparate. Eccovi determinazione, motivazione, talento, esaltazione. Ciascuno con i propri vizi caratteriali. Tipi da podio e tipi da spettacolo televisivo, che hanno sdoganato il proprio sport per il grande pubblico. Dicevi Montano e pensavi scherma, pur stranendo per basettoni, collane e collanine, belloccio e televisivo con l'aiuto di Simona Ventura, uomo d'amori che tutti riconoscevano. Direbbe lui: «Un bravo ragazzo con tante cavolate nel curriculum». Ma in questi Giochi gli è toccata la parte del Grande Vecchio, che poi è il leit motiv della vita: da ragazzo cavolate, da grande Vecchio regali la tua qualità. Lo ha dimostrato nel fantastico assalto di semifinale, contro l'Ungheria (chiuso 45-43), quando ha dato la sveglia a Berrè e Curatoli, che dal bordo pedana gli gridava: «Aldo, sei il più forte di tutti!». Montano, arrivato da capitano e riserva, in quel momento sostituiva l'infortunato Samele: pochi attimi per scaldarsi, un bacio alla sciabola, ed ha mostrato al mondo la scherma, la sua scherma, e chissà non sia servito ad esaltare Curatoli nell'ultimo assalto miracoloso per battere Aron Szilagy, il tre volte campione olimpico. Poi, contro la Corea, è svanita subito l'illusione di un oro (45-26). I Grandi vecchi sono tali perché innanzitutto sono grandi, cioè campioni con qualità. E Aldo, che ha vissuto un periodo agonistico di goliardia e risate, oggi forse non riuscirebbe più ad esprimere il talento in un mondo giovane avvinghiato a tablet, cellulari, e clic. Sul braccio si è tatuato un detto: Memento audere sempre. Tradotto nel suo gergo: insistere in ciò che si crede con testa, rabbia e voglia di riscatto. Ecco perché: «Ho sofferto per arrivare a Tokyo, è stata una gioia essere qui. Avrei firmato per un finale così». E ieri è stato semplice sintetizzare la sua storia: «Una vita e una carriera meravigliosa: 17 anni passati in un attimo. Meraviglioso chiuderla in questo modo». Quale modo? Quello di una foto.

Montano inginocchiato davanti ai cerchi olimpici, in mano una medaglia e un mazzo di fiori: il ritratto di un romantico conquistatore.

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