Si riparte da Marassi e dall'ambiguità di una prestazione che non promuove ma nemmeno boccia l'Italia di Mancini. La gara di Genova (seguita sulla Rai da quasi 6 milioni di spettatori) lascia il dubbio di quale sia la vera Italia: quella vista nella prima ora, propositiva e con un gioco, oggetto che era diventato misterioso per la Nazionale, oppure quella dell'ultima parte di gara annebbiata dalla stanchezza con il pari ucraino, le incertezze di Donnarumma e della difesa?
Le statistiche sono sempre più impietose: 93 anni fa l'ultima volta che la Nazionale non ottenne nemmeno una vittoria in cinque gare interne di fila, «solo» 59 per rivedere una serie nera di otto gare senza mantenere la porta inviolata. Per non parlare dell'inizio sofferto del nuovo ct: una sola vittoria in sei partite come il Fulvio Bernardini dell'epoca 1974-75, appena sei reti segnate (quella di «Fuffo» si fermò a 2), otto gol subiti (peggio solo Viani e Ferrari con la Commissione tecnica Figc tra il 1958 e il 1961, come il Mancio Donadoni nel 2006 dopo il Mondiale vinto).
L'aforisma coniato alla vigilia dell'ultima gara da vacche grasse per l'attacco (il 5-0 al Liechtenstein) da Gian Piero Ventura, il ct che non ci ha portato in Russia e che ora è tornato in panchina al Chievo, è per ora profetico e realistico: «Le goleade sono cose che si perdono nella notte dei tempi, cose da anni Venti». Era l'11 giugno 2017 e da allora gli azzurri nelle successive 14 partite hanno segnato più di un gol soltanto all'Arabia Saudita, con l'effimero ritorno di Balotelli in Nazionale. Curioso poi che anche un ex attaccante come Mancini viva gli stenti dell'attacco dell'Italia. L'1-1 di Genova con l'Ucraina è la conferma di una tendenza che si è fatta abitudine: tante occasioni create (7 volte l'Italia ha tirato verso la porta avversaria), un solo gol per altro regalato da una papera di Pyatov. Il tridente leggero senza un centravanti classico, con Chiesa, Insigne e Bernardeschi e le loro rotazioni, ha regalato trame che avrebbero giustificato una mira più «cattiva». E poi in otto tentativi gli azzurri sono finiti in fuorigioco, avvicinandosi agli 11 della famigerata sconfitta al mondiale brasiliano contro la Costa Rica, quella che di fatto cancellò quattro anni di gestione Prandelli. «Bisogna essere più incisivi», così Mancini ai suoi attaccanti. Da esperto in materia è poi sceso nel particolare: «Chiesa deve ancora acquisire la voglia del gol che Insigne e Bernardeschi hanno già. Poi, se c'è un centravanti che i gol li fa, lo mettiamo». Significa che l'assenza di una punta implacabile pesa. Con un possesso palla vicino al 60 per cento e un regista (Jorginho) che tocca 129 palloni, serve uno sfogo in area di rigore più concreto, mentre il gol di Bernardeschi è arrivato con un tiro da fuori. Segno che l'Italia non sfonda.
E poi c'è un altro vizio che ha preso la Nazionale, quello di prendere gol: «Non credo né alla sfortuna né alle coincidenze...», ha detto il nuovo capitano azzurro Chiellini, lanciato verso le 100 presenze con l'Italia. Che ha subito almeno un gol in ognuna delle ultime 8 partite, dopo aver mantenuto la porta imbattuta per 8 volte nelle precedenti 12 gare.
Un dato da tenere presente, considerando la tradizione italiana. Domenica in Polonia non si potrà fallire: il punticino raccolto in Nations League ci costringe a una mezza impresa per evitare l'onta della retrocessione in B e avere un cammino difficile verso Euro 2020.
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