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La legge del Cholo: un gol può valere la finale

Ha abituato l'Atletico a soffrire, a Monaco difenderà il vantaggio con tutti i mezzi

La legge del Cholo: un gol può valere la finale

Il cholismo è una filosofia, anzi è una fede. Chi è entrato nella Ciudad Deportiva Atletico de Madrid al Cerro de Espino, a una ventina di chilometri da Madrid, dove si allena la squadra, ha detto che anche le vanghe dei giardinieri sanno di Cholo, Diego Simeone, il padre-padrone. Non è un sistema di gioco, in fondo l'Atletico non appaga gli esteti, il cholismo è un modo di vivere, soffrire, soffrire, innanzitutto soffrire.

Nelle tavole di Simeone c'è scritto che i vincenti e belli, quelli che si ammirano, non sempre vanno lontano. Lui vuole gente che senta quasi piacere a soffrire, che si alimenti di sofferenza perché poi vincere sarà ancora più bello. Un gol sporco, brutto, quasi casuale, vale anche lui tre punti in classifica. Ai nuovi arrivati Cholo usa fare un discorso breve davanti a tutta la squadra: «Se non hai intenzione di dare tutto per questa maglia, noi non vogliamo neppure conoscerti». Un benvenuto al club sintetico, insieme alla seconda raccomandazione: «Nessuna partita è persa fino a quando l'arbitro non ne fischia la fine. Noi siamo una squadra che deve combattere per la sopravvivenza quotidiana».

Al Vicente Calderon anche gli ambulanti che circondano lo stadio adorano Simeone, lui è il sacerdote che combatte il potere con le lacrime e il sudore, solo lui potrebbe farlo. Mercoledì sera, l'Atletico ha battuto una delle squadre più forti d'Europa con un gol dopo undici minuti e lo ha difeso fino al 94', il Bayern è tornato a casa quasi soddisfatto della sconfitta. Un solo gol, rimediabile, Cholo l'ha sintetizzata così: «Noi abbiamo fatto un primo tempo migliore, loro sono più forti e hanno giocato meglio il secondo».

Eppure l'onestà del Cholo vacilla spesso con il suo temperamento, in linea con la sua dottrina ma spesso oltre i confini. Uno schiaffone sul collo di un arbitro a fine gara, un buffetto lo ha definito lui, quel secondo pallone che qualcuno ha fatto rotolare in campo per costringere l'arbitro a fermare il gioco su un contropiede pericolosissimo del Malaga, sull'1-0. Probabilmente non l'ha calciato lui, ci sono testimonianze discordanti, ma quando sei lì con il Madrid e il Barça a giocarti la Liga a quattro o cinque giornate dalla fine, uno che è all'Atletico che cosa può fare se non gettare un secondo pallone in campo, fermare il gioco e chiedere al cielo di guardare giù?

L'Aletico è diventato campione del mondo per club quando la squadra da cui venne battuto in finale di coppa dei Campioni si è rifiutata di disputare l'Intercontinentale. L'Atletico invece si è presentato e l'ha vinta. Quella squadra era il Bayern Monaco.

Erano altri tempi, c'era meno business e più calcio, ma l'Atletico non è mai cambiato.

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