Leonidas, la Perla nera che volando fece andare il calcio in bicicletta

Per il Brasile era Pelè prima che nascesse Pelè, il giocatore più amato, forse il calciatore più forte del mondo. Gli piaceva la danza, voleva diventare un giocatore di basket, ma si inventò il colpo più spettacolare e artistico di un attaccante: la rovesciata. Che diventò per sempre il simbolo delle figurine

Leonidas Da Silva
Leonidas Da Silva

Dopo John Brodie, William McCrum, Ken Aston, Karl Rappan, Giuseppe Trivellini e Nathaniel Creswick inventori della rete, del rigore, del cartellino rosso, del catenaccio, del tuffo e dei 90 minuti continuiamo la nostra carrellata sugli uomini che hanno creato il calcio, sull’undici che ha rivoluzionato le nostre giornate sportive. Oggi prendiamo la bicicletta...

7 La rovesciata
Leonidas Da Silva (1914-2004)
Lo chiamavano l'Uomo di gomma, il Diamante Nero, giocava con la Bibbia del calcio sotto braccio ed è stato Pelè prima che arrivasse Pelè. Portava il nome dell’eroe delle Termopili, quello di «300», e figlio del leone lo è sempre stato. Gli piaceva, come avesse di fronte Serse re dei persiani, giocare solo contro tutti, inventarsi l’impossibile per stupire il nemico, combattere comunque fino alla fine. Fu il primo solista, agli albori degli anni Trenta, ad esibirsi in un pezzo di bravura impossibile, mai visto prima di lui sui campi di calcio, la «chilena», «a bicicleta», cioè la rovesciata, quella che si stamperà anni dopo, e per sempre, su tutte le bustine delle figurine. Il pallone l'aveva inseguito fin da bambino Leonidas, nella sua Rio de Janeiro, in quelle partite in strada e sulla spiaggia che sembrano non finire mai.

Comincia dallo stesso club, il Sao Cristovao, che anni dopo, avrebbe lanciato Ronaldo, attraversa il Flamengo dove segna a raffica e vince tutto, arriva ai Mondiali, quelli del 38, e tutti si accorgono di quel molleggiato agilissimo e veloce, che fuori campo veste come un damerino. Pensare che all'inizio a Leonidas il ballo, il basket, ma non il calcio. In patria lo amarono più di Orlando Silva, l’Ungaretti brasiliano. Anche la «Chilena» in fondo era pura poesia.

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