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L'ItalMancio si scopre camaleontica. Palleggio, attacco e se serve contropiede

Adattarsi all'avversario, variando modulo e stile di gioco, è l'arma in più del ct. Unico visionario che credeva di arrivare fino in fondo

L'ItalMancio si scopre camaleontica. Palleggio, attacco e se serve contropiede

«Sapevamo che erano più forti di noi nel palleggio». La prima virtù esercitata dal ct Roberto Mancini è stata proprio questa: l'umiltà. Aver messo nel conto della semifinale che la Spagna avrebbe menato la danza, accentuata nell'occasione dalla scelta di rinunciare al puntero Morata per arricchire il centrocampo. «È stata la partita più difficile della mia carriera» la confessione di un Bonucci stremato che di sfide di quello spessore ne ha giocate tante, non è certo la prima. Ecco la seconda qualità mostrata dall'Italia finalista dell'europeo 2020: l'abitudine a saper soffrire. Infine c'è la terza, citata indirettamente da Federico Chiesa stravolto dalla fatica e assalito da crampi. «Mancini nell'intervallo ci ha detto di sfruttare quegli spazi che ci avrebbero concesso. Donnarumma è stato bravissimo nel lanciare la palla da cui è partito il mio gol» la ricostruzione postuma. Così è nata la Nazionale camaleonte di Roberto Mancini, capace di palleggiare in faccia al Belgio, di attaccare spudorata l'Austria e di mettersi a cuccia nella propria metà-campo quando ha capito che al cospetto dei maestri del palleggio, gli spagnoli, non ci sarebbe stato altra via che per le ripartenze, il vecchio, caro, intramontabile contropiede di antica e collaudata memoria.

Ma il raggiungimento di questo primo traguardo non può essere realizzato senza l'atto di fede denunciato dagli azzurri e datato inizio dell'avventura di Roberto Mancini ct (per volere di Costacurta, altro riconoscimento da presentare). «Solo un folle poteva credere in un risultato del genere» hanno ripetuto i primi azzurri a frequentare le convocazioni. E lui stesso, il ct, ha ammesso alla fine: «Non ci credeva nessuno». Verissimo. Nemmeno gli amici e i convinti estimatori del tecnico di Jesi che nella Milano nerazzurra ha lasciato molti ammiratori. Ed è allora vero che solo una lucida follia può guidare un tecnico visionario il quale nel dragare la sabbia dell'eliminazione dal mondiale di Russia 2018, aveva scovato più di un brillio tra la generazione millenial, a cominciare da Zaniolo, il primo convocato a sorpresa dopo averne intuito il talento durante un raduno dell'under 19 a cui partecipò come osservatore. Aver usufruito di un anno in più - per la pandemia - alla fine non è stata una disgrazia: è servito a completare il lavoro.

È giusto tributare alla Spagna e al suo ct - uomo vero fino in fondo, maltrattato dal destino ma onorato dall'affetto e dalla stima della comunità - l'onore di una gara splendida, arricchita da un gol e qualche golosa occasione sprecata ma bisogna contestualmente segnalare cosa è successo nel campo azzurro. E cioè, tranne una sola sbavatura, la tenuta del muro difensivo, la resa atletica di molti giovani sodali (Barella, Verratti) mentre Jorginho è rimasto lucido e presente a se stesso fino all'ultimo rigore, espletato con una freddezza degna di un finlandese, non di un brasiliano convertito al tricolore calcistico. Saranno riflessioni utili per la finale di domenica sera quando bisognerà evitare la tentazione, diabolica, di praticare il sentimento della riconoscenza (verso chi ha trascinato il gruppo all'appuntamento conclusivo) e scegliere sulla base della freschezza atletica. Ogni riferimento a Immobile, Barella, non è casuale.

Ma domenica 11 luglio, giorno della nostra beata gioventù, è un altro giorno e si vedrà.

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