RIO DE JANEIRO - Questo è il giorno in cui un padre si rende conto che il figlio è davvero in gamba. Il padre si chiama Bruno, il figlio Gabriele e tutti e due di cognome fanno Rossetti. In famiglia collezionano medaglie olimpiche: un bronzo e un oro.
Non sbaglia un colpo, Gabriele. Non sbaglia mai, neppure in finale, quando la mano qualche volta potrebbe tremare. Sedici su sedici. Lo skeet simula la caccia agli uccelli, ma qui non c'è morte, ci sono piccoli bersagli di argilla di 10 centimetri che partono da sette postazioni a semicerchio. Ti sposti e vai. Gabriele Rossetti che ama le sfide e si esalta, che è di Firenze ma si sente un po' francese, che tifa per il Paris Saint-Germain e pensa che se va via Ibra comunque di campione ne arriva un altro. Gabriele che spara perché è divertente e forse a 21 anni non ha i fantasmi che ti tengono sveglio la notte. Non ti pesa la paura. Segui la strada, quella di tuo padre, speri di essere come lui, lo insegui, ma senza ansia. Tuo padre che nel tiro a volo ha fatto qualcosa di importante. Tuo padre che è italiano d'adozione e di ritorno, perché è nato e cresciuto in Francia, con cui ha vinto tre europei, ma è figlio di emigranti e un giorno ha scelto l'Italia. Bronzo a Barcellona 1992.
Tuo padre che ora è il tecnico della nazionale francese: "Non è stato facile quando si sono incrociati alle qualificazioni. Sto aiutando qualcuno contro mio figlio e lo faccio al meglio. Però il cuore è sempre da una parte". Per Gabriele è un mito. "E' la persona che più ammiro". Il padre e il figlio che si tramandano l'arte. Qualche giorno fa, diceva: "Spero un giorno di poterlo eguagliare". Non ci è riuscito. E' andato oltre. Quella che bacia davanti ai fotografi è una medaglia d'oro, vinta quasi senza pensarci, perché quando spara Gabriele si diverte. Il segreto? "Immagino che il piattello sia un obiettivo, un sogno da realizzare. Io sparo per leggere le carte della fortuna".
La fortuna qui a Rio era perfetta. Ma quella da sola non basta. Ci devi mettere del tuo, seguirla, accarezzarla, senza timore che si giri e ti morda. E' quello che in finale ha fatto Gabriele. Nelle prime due serie ha sparato 50 su 50, guadagnandosi lo spareggio, con un errore avrebbe perso le semifinali. Allo spareggio centra 12 piattelli di fila, valgono la finale a sei. E' la zona medaglie, qui basta un filo di vento per scomparire nel nulla, per quelle storie che vengono dimenticate, perse nel limbo che si apre dal quarto posto in poi. Gabriele Rossetti fa 16 su 16 ed è in finale con lo svedese Marcus Svensson. La finale non consente errori. Gabriele comincia a sparare per primo, con il suo Beretta DT11, e in tanti si chiedono se non sia uno svantaggio. Non lo sarà. Serie contro serie. Fa centro Gabriele e lo svedese lo imita. C'è un colpo che prende di striscio il piattello ed è questioni di centimetri, qui la fortuna davvero balla su un equilibrio instabile. Ma quel contropelo vale. Svensson sente il peso del tiro senza ritorno. Se sbaglia è argento. Se colpisce si va allo spareggio. E' la situazione peggiore e infatti cade. Il tiro è a vuoto. Gabriele Rossetti è medaglia d'oro. E' un altro ventenne che qui a Rio segna un passaggio generazionale. E' un altro di quelli che va alla ricerca di una via d'uscita, la trova e se la prende. Ed è questo per l'Italia il sapore più profondo di questa Olimpiade senza saudade. C'è un futuro oltre il muro. Qui un figlio ha fatto meglio di un padre.
E francamente era ora. Questa è una storia di un figlio e di un padre. "Il mio orgoglio dice Bruno Rossetti era vederlo partecipare ai Giochi. Ho sognato che andasse in finale. All'oro neppure ci speravo. Allora è veramente in gamba".
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