L'ultima frontiera: un Milan italiano

Berlusconi ripensa a un vecchio progetto. Galliani sogna lo stadio e difende Inzaghi: "Nessun aut aut"

L'ultima frontiera: un Milan italiano

Il Milan italiano è la nuova frontiera di Silvio Berlusconi. Toccherà al presidente, durante una delle sue prossime visite a Milanello, tracciarne i confini e spiegarne il significato. Di certo ha molte affinità con il discorso originario di JFK che parlò «Non di promesse ma soltanto di sfide», «ricca di sconosciute occasioni ma anche di pericoli». Proprio come quelli che si stagliano dinanzi a Inzaghi e al suo gruppo, dopo aver invertito la rotta con il successo sul Parma. Prima la Juve, lontana anni luce, 21 punti, poi Empoli e Cesena: rischi e opportunità, insomma. Eccola qui allora la nuova frontiera del Milan che punta, secondo un antico progetto berlusconiano (se ne parlò già nell'88, ai tempi di Sacchi allenatore, con la proposta a Vialli), a trapiantare nel corpaccione della squadra un blocco fatto di tutti italiani con il contorno di pochi stranieri, campioni di razza. Con l'intento dichiarato di valorizzare il senso di appartenenza e di provocare la suggestione tra Nazionale e team rossonero.

Adriano Galliani ha creato la suspence sottolineando a più riprese «Questa è materia che sarà trattata dal presidente», ma di sicuro ha garantito che l'arrivo di molti italiani durante il mercato di gennaio (Cerci, Destro, Bocchetti, Antonelli, Paletta di passaporto calcistico azzurro) «Non è il frutto del caso». È appunto la nuova frontiera del Milan che si ritrova nel frattempo nella terra di mezzo della classifica per via di un gennaio disastroso e per il quale «Non ho ancora una spiegazione» la confessione del dirigente rossonero. «A metà dicembre, dopo aver battuto il Napoli in casa, eravamo a pari punti con loro e a meno due punti dal terzo posto, io non credo che sia un problema di organico» è l'opinione schietta del vice-Berlusconi, documentata da alcuni numeri (14 punti nelle prime 7 partite) che sono cocciuti.

Chissà se di questa nuova frontiera farà parte anche Pippo Inzaghi, tenuto amorevolmente al riparo nelle risposte più delicate da Adriano Galliani. «Parlare di terzo posto porta male, non ci sono aut-aut nei confronti di Pippo, se arriviamo sesti o settimi. Come dice Dan Peterson: in questi casi testa bassa e pedalare", la citazione che sembra fatta apposta per incoraggiare il tecnico riferendosi al quale ha poi aggiunto "Nessuno ha mai detto che se non va in Europa va o resta, tra l'altro Pippo ha un contratto di un altro anno». A segnalare lo sforzo del club e del suo azionista, la sfilata dei cinque rinforzi di gennaio presentati in gruppo, da Bocchetti a Destro («É stato decisivo l'arrivo a casa mia di Galliani»), da Antonelli a Paletta («Saremo all'altezza della Juve, possiamo anche batterli» la frase a effetto che è sembrata più una sorta di macumba), fino al giovane 21enne spagnolo Suso, «Seguito fin da quando giocava nell'under 17 e 19 della Spagna» il racconto di Galliani che ha spiegato la vicenda Munoz («A Ferrero e Zamparini ho detto di non aver alcun impegno scritto con il difensore»), intervenuto su Mexes («Finita la squalifica tornerà in gruppo») e su Armero («Non è fuori rosa anche se non lo vedete col gruppo») prima di affrontare gli ultimi due argomenti del giorno, lo stadio e la Juve. «Ho avuto una riunione di tre ore con Barbara Berlusconi sul tema nuovo stadio: guardavamo dalla finestra immaginando la costruzione dinanzi ai nostri occhi.

Si tratta di un sogno, spero che si realizzi: sarebbe fantastico» il primo giudizio, conferma che tra i due ad, quando c'è da lavorare gomito a gomito, l'intesa è assicurata. «Noi e la Juve siamo due rivali storici: noi abbiamo vinto molto di più in giro per il mondo, la Juve ha vinto molto di più in Italia. E perciò vissero felici e contenti» la battuta conclusiva.

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