L'unico maestro che sapeva spiegare anche a un bambino i misteri dello sport

Un artista che ha reiventato se stesso con il ruolo del libero Amato anche quando le «maldinate» facevano tremare Conquistò i milanisti dopo le aspre sfide con Nordahl

di Oscar EleniB rutto svegliarsi sentendo la notizia che ci ha lasciato Cesare Maldini, il sacerdote dei misteri eleusini del calcio, l'unico che poteva spiegare le cose sacre dello sport anche ad un bambino. Lo fece tante volte e a dieci anni se conosci un uomo del genere resti affascinato per sempre. Gli altri perdevano la ragione quando c'era la battaglia, ma se guardavano alle loro spalle vedevano la calma di quel Ierofante triestino e ritrovavano la strada. Lo fecero a Wembley, la prima coppa dei Campioni di una squadra italiana, il suo Milan, suo e di Rocco, quando il Benfica andò in vantaggio. Fu trionfo. Che giornata, che invidia per quelli che avevano potuto andare a Wembley, ma eri sicuro che al ritorno non sarebbero stati altri a spiegarti cosa era accaduto sul quel nobile tappeto inglese. Ci avrebbe pensato Maldini Cesare da Trieste con il suo globo d'oro appeso al collo.Lo abbiamo sognato e immaginato quasi sempre così. Lo abbiamo tanto amato davvero anche quando le maldinate facevano tremare le tribune, urlare gli infedeli. Sì, qualche volta ha esagerato, ma cercando sempre qualcosa che fosse stile, un marchio. Per otto anni abbiamo cercato Maldini sull'erba di ogni stadio. Non fu amore a prima vista. Non poteva esserlo perché quando giocava nella Triestina aveva cercato troppe volte la maglia di Gunnar Nordahl. Non era finita bene. Troppa saliva, troppo sudore. Come poteva cambiare la storia della difesa rossonera uno del genere? Lo avrebbero perdonato? Certo che lo hanno perdonato perché divenne aristogatto dopo essere stato mulo.Artista che ha reinventato se stesso, il ruolo di libero, e quando la fascia di capitano rossonero passò a suo figlio Paolo non eravamo sicuri che fosse davvero andato via. Meravigliosi i suoi silenzi, stupendi quei balbettii per ribellarsi ai troppo saccenti, ridendo più degli altri quando il suo amico Teo Teocoli ne faceva la parodia, anche se spesso lo minacciava fermandosi al momento giusto se di mezzo c'era Paolino pronto a correre sulla fascia.Non ci ha stupito vedere affiancato il suo nome a quello di Cruijff sulle tribune di Bergamo dove pascolava un Milan troppo diverso dal suo. Padrone dello spogliatoio, signore del campo. Viandante per un giorno nella Milano che aveva già accolto tanti triestini famosi cominciando da Cesare Rubini e Gianfranco Pieri. Poi padrone della signoria nel ristorante vicino a Piazza Missori, l'Assassino, dove il suo tavolo accoglieva tutti, a patto che non gli facessero cambiare la fede verso il filetto. Che si divertissero su altri tavoli anche se come dice Rivera lui e Rocco erano davvero due splendidi e simpatici guasconi. Fuori dal campo, si capisce. Dentro la legge era un 'altra.Ci siamo goduti il Maldini maturo quando è diventato allenatore, lo abbiamo scelto come angelo protettore negli anni in cui taceva pur avendo tante cose da dire, accettando anche il cono d'ombra della non riconoscenza come dopo il mondiale da cui fu eliminato ai rigori contro la Francia poi diventata campione. Il vero Maldini, campo e panchina, lo abbiamo vissuto nell'anno meravigliao di Spagna 1982 quando era l'assistente di Bearzot.

Il silenzio stampa portava soltanto Dino Zoff davanti agli inviati a fine allenamento. Cesare restava con chi doveva sistemare ancora il piede, esercitarsi. Per lui abbiamo persino tifato Paraguay, grazie a Cesare dire scuola Milan aveva, ed ha ancora oggi, un senso.

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