Mancini ieri e oggi quando le sue offese non finivano in Tv

di Tony DamascelliS i è venuto a sapere che una quindicina di anni fa Roberto Mancini diede pure lui del frocio a un dirimpettaio, trattavasi del giornalista della Gazzetta dello Sport Alessio Da Ronch. Il fatto curioso è riportato dalla stessa Gazzetta, con tutti i particolari di cronaca. Non risulta che all'epoca, negli istanti che precedevano l'allenamento, il Mancini, allenatore della Fiorentina, fosse in trance agonistica ma, per lui, Da Ronch era colpevole di avere scritto sul brasileiro Amaral allontanato da Firenze e questo provocò la reazione zitellesca. Mancini preparò tutto nei dettagli, fece convocare dall'addetto stampa viola il cronista e lo ricoprì di male parole, frocio di merda fra queste, oltre a gesti minacciosi. Il Da Ronch non trovò, tuttavia, la solidarietà del Gay Center, del Partito Democratico, allora Ulivo, o di Rifondazione Comunista o dell'Italia dei Valori, niente. Così Mancini, nascosto nel canneto, la passò liscia. Del resto certe cose finiscono in campo o negli spogliatoi, si dice così. Come altre volte in cui il Mancini medesimo giustificò striscioni di insulto ai napoletani o gesti volgari e parole razziste tra Mihajlovic e Vieira. Curioso anche che lo stesso Da Ronch, nel Duemilanove, intervistato da Pianetagenoa 1893, disse testualmente: «Mancini sarebbe un grande colpo, soprattutto se tornasse a mettere la testa in quello che fa».

Ma alludeva ad Alessandro Faiohle Adamantino, detto Mancini, il brasiliano, in procinto di passare al Genoa. Vedi come vanno le cose della vita, basta una parola, un equivoco e scoppia la guerra. Mancini viene da Jesi, nelle Marche. Faccia qualche chilometro, pochi in verità, e si fermi alla frazione di Pinocchio. Con la P.

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