La sua vera vittoria è la sua sconfitta. Oscar Pistorius forse lo capirà a «menta fredda» e non con in corpo l'adrenalina della delusione. Deve riflettere come l'ha invitato a fare il comitato paralimpico internazionale dopo il reclamo formale per la finale dei 200 persa a sorpresa. Era la sua gara, l'oro una formalità dopo il record del mondo fatto in semifinale. Invece all'uscita della curva è sbucato Alan Fontales Cardoso Oliveira che gli ha rubato la scena. In apparenza. Perché solo se si analizza con superficialità la caduta, riducendola al mero fatto sportivo, non si comprende quanto importante sia il messaggio che porta con sé.
Pistorius, il primo atleta biamputato a correre coi normodati, ha indicato una via: ce la possiamo fare anche noi. Ha dato impulso a un movimento che sarebbe rimasto fine a se stesso, ha sdoganato quelli che fino a pochi anni fa erano considerati degli storpi che corrono sui bastoni. Ora la loro è una vera competizione sportiva, l'obiettivo indicato da Oscar è continuare ad avvicinarsi agli uomini che corrono con le gambe naturali. «Blade runner» è stato il primo a dire che si può fare. E deve essere anche il primo a rallegrarsi che qualcuno ci voglia provare seguendo il suo esempio.
La vera delusione per Pistorius deve essere per il fatto che gli si è ritorta contro la polemica, quella sulle protesi, che a lungo è stata da ostacolo nel dargli una corsia al fianco dei campioni «normali». Accusare l'avversario di «usare protesi più lunghe che lo alzano in maniera innaturale», è un'ombra sulla sua storia. La giustificazione che l'abbia fatto a caldo regge. Le scuse del giorno dopo lo riabilitano anche se il brasiliano rivela: «Non mi parla più, mi saluta a fatica». «Non vorrei mai offuscare il momento di gloria di un atleta. Ho grande rispetto per Alan. Che errore quei commenti», il mea culpa di Oscar. Resta un però. «Comunque credo che ci sia una questione da affrontare e apprezzo che mi sia data l'opportunità di farlo», ha aggiunto. I suoi dubbi sono legittimi: Oliveira si è migliorato di tre secondi in un anno, nella seconda parte di gara aveva una falcata «incredibile» a confronto con quella possente e ampia del sudafricano.
Il comitato paralimpico fa sapere che «ci riuniremo con Pistorius che ha espresso preoccupazione riguardo alle regole sulle protesi. Lo incontreremo dopo che ci avrà presentato le sue domande in modo formale». Comunque per i giudici tutti gli atleti della finale erano in regola. Sarà, ma è evidente la necessità di norme più stringenti. È il «prezzo» da pagare all'esplosione del movimento grazie a Pistorius che ruba la scena a chiunque, anche al nostro portabandiera, Oscar De Pellegrin, ieri oro nel tiro con l'arco, ad Alvise De Vidi, argento nei 100 e 13ª medaglia alle Paralimpiadi, o ad Annalisa Minetti, oggi a caccia del podio nei 1500. Il fatto che nelle sue gare ormai ci si concentri anche sul «fatto tecnico» è un'altra vittoria di Pistorius come le parole del rivale: «Ho fatto la storia delle paralimpiadi battendo Oscar».
Trattato alla pari di Bolt e Phelps. Il vero errore può essere stato quello di essere tornato indietro dopo aver sfidato i normodotati. Si potrebbe porre anche il problema: di qui o di là. Che senso ha il «ritorno» tra i disabili? Per un oro in più? Sulla carta non doveva avere rivali. Appunto.
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