Calcio

Dirigenti e procuratori tra mea culpa e accuse: "Non possiamo spiarli. Ma agenti e famiglie..."

Marino, ex ds di Napoli, Atalanta e Udinese: "Come insegna il caso Vieri, è illegale pedinare i calciatori". Branchini, storico intermediario: "Chi fa ora il mio mestiere pensa solo ai soldi Invece dovrebbe occuparsi della carriera, star loro vicino, conoscere famigliari e amicizie"

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«Chi ha sbagliato?». L'interrogativo cult lanciato un giorno di ottobre da Vujadin Boskov per chiedere spiegazioni di un gol incassato da Pagliuca, arriva in soccorso per conoscere le colpe e le responsabilità del calcio italiano sconvolto dal ciclone Corona. È capace di partorire periodici scandali senza riuscire mai a produrre anticorpi. Anzi, col tempo, con il moltiplicarsi dei guadagni, le buche nelle quali scivolano le nuove generazioni sono sempre più profonde. Dalle prime reazioni dell'opinione pubblica, sembrerebbero due gli imputati chiamati alla sbarra. Il primo imputato: le società, i dirigenti incapaci di controllare i propri tesserati. Partendo dalla saggia riflessione di Beppe Marotta («come si fa a controllare una volta che i calciatori entrano nelle rispettive stanze?»), c'è chi ha affrontato la stessa bufera nel passato recente. Si tratta di Pierpaolo Marino, dg dell'Udinese fino a giugno scorso: arrivò a Bergamo in un periodo tempestoso. «L'Atalanta - racconta - era reduce dall'inchiesta scommesse nella quale furono coinvolti Doni e Masiello: ogni giorno un arresto, ogni giorno un nome. Decidemmo di organizzare dei corsi per spiegare il codice etico e dopo un paio di lezioni trovammo la platea molto interessata. Certo non sono sufficienti un paio all'anno, ne servirebbero almeno due al mese per tenere sotto pressione il gruppo e segnalare loro i rischi che corrono. I calciatori, con quei guadagni, sono miele su cui si lancia lo sciame di api» ricorda. E non proprio api operaie viene da aggiungere. «D'altro canto spiare i propri calciatori, come è dimostrato dal precedente Inter-Vieri, è illegale oltre che impossibile» la sua conclusione mesta.

Il secondo imputato è chiamato in causa esplicitamente dal papà di Fagioli, il primo a finire nella rete dell'inchiesta della procura di Torino. «Perché i procuratori non sorvegliano i loro assistiti?» si chiede sgomento. Qui la risposta è affidata a Giovanni Branchini, agente che parla 5 lingue, professionista di spessore (proviene dalla boxe d'antan), a capo dell'associazione che discute della riforma della categoria con la Fifa. Ed è una risposta appuntita. «Potrei cavarmela con le tentazioni del mondo moderno e invece c'è bisogno di guardare in faccia la realtà per capire. Osservo la realtà lanciando alcuni interrogativi: chi ha consentito che al mestiere dei procuratori si affacciassero personaggi senza scrupoli né preparazione, in molti casi familiari o faccendieri? Chi non è intervenuto per deferire calciatori che vendono addirittura la procura agli agenti? Chi non è intervenuto per evitare che fossero i famigliari a incassare le commissioni, pratica vietata dai regolamenti?». Ecco allora la risposta secca: in questo mondo di guadagni lauti è mancata la governance, dalla Fifa in giù, impegnati a moltiplicare gli eventi per incassare diritti tv. E Giovanni Branchini non si ferma più: «Un procuratore capace deve seguire i suoi assistiti, deve conoscere le loro famiglie, mettere il naso nelle amicizie e frequentazioni e occuparsi della carriera invece che del ricco stipendio. Chiedetevi perché da 30 anni a questa parte non è più nato da noi un altro Totti, un altro Pirlo, un altro Nesta. Io conosco il motivo: perché l'unico obiettivo è partecipare alla spartizione della torta gigantesca».

In effetti è la fotografia più attendibile da mostrare al pubblico passando per un esempio che vale in questo caso da prova del nove. Eccola: «Ti ricordi la carriera di Bruno Conti? Fino ai 24 anni è andato in serie B al Genoa per maturare poi la Roma l'ha portato in A facendolo diventare campione del mondo in Spagna 1982». Ma c'è dell'altro, naturalmente. Ci sono anche i club o meglio ancora i dirigenti che non possono tirarsi fuori. «Oggi i presidenti hanno praticamente liquidato la figura del direttore sportivo: fanno loro quel mestiere, pensando di aver raccolto la competenza necessaria. Se vogliono trasferire un calciatore oppure acquistarlo, non passano dal ds, passano dal procuratore. E di conseguenza i calciatori che puntano ai grandi guadagni e ai club più famosi si rivolgono ai procuratori»: ecco svelato l'altro passaggio vizioso. Infine, perché nessuno può chiamarsi fuori, ci sono le famiglie. Spiega Branchini: «Un ragazzo di 18 anni, con tanti soldi in tasca, la supercar in garage, l'orologio da 100mila euro al polso, il volo privato per gli spostamenti e circondato da bellissime ragazze, pensa di essere arrivato».

È come se parlasse un papà e non un agente con 45 anni di esperienza sulle spalle.

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