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Mariolino, dna e imprinting di splendori e abissi interisti

Cambiò per sempre la squadra rendendola diversa da tutte e capace di vincere e di perdere con chiunque

Mariolino, dna e imprinting di splendori e abissi interisti

Comincio con una storia vera, che racconto adesso per la prima volta.

A quindici anni vivevo a Desenzano del Garda, paesotto dedito a quel tempo al turismo - perlopiù bresciani e tedeschi - all'edilizia all'adulterio al gioco d'azzardo. C'era ancora qualche pescatore di professione. A quindici anni avevo due cose in testa: il rock e l'Inter. I miei idoli: il Led Zeppelin e Mariolino Corso.

Corso per me era un semidio, di notte sognavo i suoi gol. Un sabato ai primi di luglio andai a Verona. A Verona ci si andava spesso, dista 40 km da Desenzano e a quel tempo era piana di belle ragazze. Ma quella volta non ci andavo per le ragazze, ci andavo perché volevo raggiungere San Michele Extra, un sobborgo di Verona, nella speranza di incontrare il mio idolo, che viveva lì. Cose che si fanno solo a 15 anni. Dopo due ore di su-e-giù a San Michele Extra di Corso non vidi nemmeno l'ombra, così un po' abbacchiato ripresi il treno e tornai a Desenzano: dove seppi che Mariolino Corso aveva trascorso gran parte del pomeriggio mostrandosi a passeggio sul lungolago. I miei amici mi esibirono con fierezza i loro autografi e mi chiesero dov'ero stato, perché non mi ero fatto vedere come tutti i sabati pomeriggio. Dissi che avevo fatto indigestione.

Nella mitologia calcistica, Mariolino Corso sta all'Inter come Furino sta alla Juve. Inter-Juve è detto giustamente il "Derby d'Italia" perché contrappone due mitologie e due filosofie.

Citato da Pelé come numero undici indispensabile nella Nazionale dell'Universo, padre di tutti i grandi del Calcio Piazzato - Platini, Maradona, Sneijder, Messi sono tutti figli suoi - Corso poteva non toccare palla per mezza stagione e poi farsi perdonare con due pedate, perché nessuno mai ha capito come facesse con quel sinistro, forse nemmeno lui, chissà, ma proprio questo è il bello.

Furino macinava chilometri a tutto campo, disposto a sacrificare la vita per un gol fatto o salvato, era un Fidippide, un Orazio Coclite, un Pietro Micca. Corso giocava solo nelle parti in ombra del campo perché gli dava fastidio il sole e non credo abbia mai avuto alcuna intenzione di dare la vita. La Juve è Ettore, l'Inter è Achille. La Juve non conosce né genio né sregolatezza, è tutta virtù etica, mentre l'Inter ha troppo di tutti e due (e come si intralciano a vicenda!). La Juve è un coro polifonico, l'Inter una jazz-band un po' meteoropatica. E noi interisti siamo quel che siamo per colpa (o per merito) di quell'uomo. Sì, proprio di lui. Tanti acquisti nei decenni successivi alla sua epoca (penso a Djorkaeff, a Recoba, ad altri bellimbusti come Kanu) risultano comprensibili solo a chi ha visto giocare Corso. Mariolino Corso non è stato solo un grande giocatore dell'Inter: ne è stato il Dna, l'imprinting, è stato l'origine del suo splendore e dei suoi abissi. Il segno che Corso ha impresso nel carattere profondo dell'Inter è stato come un marchio definitivo, a fuoco: l'Inter divenne "quella cosa lì" e non fu mai più un'altra cosa, per la gioia ma anche per la disperazione di noi interisti, che spesso l'abbiamo sognata diversa, ma abbiamo avuto anche molta paura che la nostra speranza si realizzasse.

Svegliarsi un giorno e trovare un'Inter uguale alla Juve. Con due scudetti in più e un'anima in meno. Inammissibile. Corso ha segnato insomma l'alfa e l'omega, la forma particolare, bizzarra e definitiva che lo stesso Destino che tutto governa ha scelto di imprimere una volta per tutte in questa squadra diversa da tutte le altre, capace di vincere e di perdere con chiunque. Perché allo stadio ci si va per incontrare il mistero, la bellezza, per vedere accadere qualcosa che non si immaginava, per cogliere il momento in cui un uomo fa qualcosa che non sapeva di poter fare.

Le magiche punizioni di Mariolino richiedono, per essere spiegate, complicati modelli matematici, ma - a differenza dei modelli - tutti le capiscono, perché tutti capiscono la bellezza e il mistero, dato che queste sono le sole cose che, alla fine, noi cerchiamo. Erano le sue cosiddette "foglie morte". Adesso questa espressione ci rattrista perché la morte ha fatto visita a questo grande, ingenuo artista. Però pensiamoci, ora che è giugno, e settembre è ancora abbastanza distante. Pensiamo allo stupore che dovrebbe destare in noi il lento volteggiare di una foglia che cade, lo spuntare del sole dietro un colle, il canto notturno di un usignolo. La bellezza del mondo è tale anche perché è gratis, non si spiega, non si comprende con una formula. Si sposta sempre di un metro oltre il perimetro delle nostre aspettative. Il calcio è il gioco più bello del mondo anche per questo, e Mariolino Corso per tutti noi è stato questo. Ora che sei lassù, Mario, puoi allenarti di nuovo: Dio ti attende con la maglia numero undici. Giocherai all'ombra. Stadio gremito.

Nessun distanziamento sociale.

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