Il campione giusto. La MotoGP incorona Marc Marquez che al debutto vince il titolo mondiale, il più giovane di sempre nella classe regina: a venti anni e 266 giorni. Gli basta il terzo posto in casa a Valencia, dietro a Jorge Lorenzo, vittoria di consolazione, e Dani Pedrosa. Il finale giusto di una stagione che tra pasticci vari (gomme sbriciolate e bandiere nere) ha rischiato di falsare il risultato. Invece trionfa il campione giusto perché il baby champion (con tanto di neonato stampato sulla maglia celebrativa), trionfa all'esordio nella classe regina come Kenny Roberts nel 1978 ed entra nella storia del motociclismo. Grazie anche al rivale giusto. Perché è vera gloria solo se si vince contro un grande avversario. E Jorge Lorenzo è stato immenso, forse il migliore di sempre. E campione lo è stato anche ieri. In gara quando ha tentato in tutti i modi di indurre all'errore Marquez, partito ancora una volta male. Ha rallentato al comando per tenere compatto il gruppo e sperare nell'effetto confusione. Ha anche rischiato in un contatto con Pedrosa per il quale è stato indagato e poi ha chiesto scusa. Tutto inutile perché «dietro erano troppo lenti e allora ho preferito vincere la gara» dirà il maiorchino. Fuoriclasse anche giù dalla moto: la stretta di mano nel giro d'onore vale più di molte parole. Si è dovuto inchinare al baby fenomeno, ieri bravo a non cadere nella trappola, a farsi quasi violenza per rinunciare alla lotta. Per una volta ha fatto il ragioniere: «Perché qualcosa mi diceva che era più importante pensare al campionato ». Un paio di rischi li ha presi comunque compresa una scodata della sua Honda ballerina. Poi ha tirato i remi in barca, ha fatto passare anche Pedrosa (non proprio una lezione di stile) e ha dato il via alla festa completata dalla decima tripletta spagnola, un record. Marquez incontenibile nell'esultanza: «È stata la gara più lunga della mia vita». Quella professionale conta sei anni e tre titoli mondiali: uno per classe. Ripercorre il cammino con una semplicità disarmante: «Ho fatto un campionato guidando al limite, poi a metà stagione ho capito che non era necessario per stare coi primi». Due i sorpassi simbolo dell'impresa: quello al cavatappi su Rossi (fotocopia di quello storico del Dottore su Stoner) e la spallata all'ultima curva a Lorenzo in quel di Jerez (copia riuscita di quella di Vale a Gibernau).
Proprio Rossi, ieri ancora una volta quarto, ha capito fin dalle prime gare di avere di fronte l'erede designato e lo ha celebrato così: «Ha scritto una pagina memorabile del motociclismo». Il compagno di squadra, Dani Pedrosa, doveva fargli da chioccia invece si è ritrovato sverniciato clamorosamente: «Ha fatto un campionato impressionante. La sua qualità migliore? Ha la fiducia per tenere la moto al limite della caduta, è qualcosa da imparare». Non a caso lo chiamano Cabroncito, che potrebbe suonare come un'offesa, ma in realtà è un complimento perché gli riconosce il coraggio di andare sempre al limite. Così ha trionfato con una supremazia disarmante per un rookie: sei Gp vinti, nove pole, sedici volte sul podio su diciotto gare (due soli 0). Può essere l'inizio di una dittatura anche se Marquez fa il sorpreso: «Non me l'aspettavo al primo anno, forse l'ho vinto troppo presto».
Rossi mette le mani avanti: «Speriamo non abbia troppi margini di miglioramento». Lorenzo, che si deve accontentare del primato di vittorie stagionali, otto, insinua il dubbio: «Come batterlo? Andare più forte di lui, anche se non sarà facile». Poi si inchina: «È il campione giusto».