Venga pure il Real Madrid. Venga pure il Manchester City. Quest'Inter non ha paura di nessuno, come tredici anni fa al Bernabeu, la magica stagione del triplete, Mourihno in fuga e Moratti in trionfo, serata omaggio al presidente storico nel giorno del suo compleanno. Milan dimesso, represso, disarmante nella sua lentezza mentale, quasi impaurito dai lampi nerazzurri. Una sola luce accesa da Leao nella prima frazione, poi il nulla; come sempre indolente, il portoghese, invece reattivo ai massimi Dzeko che ha quattordici anni in più, fotogrammi di due modi diversi di vivere la partita e i contratti. Intensa soltanto a livello emotivo, non bella per qualità tecnica, troppo frammentata da errori, falli e gestione strana di Turpin. Nell'uscita forzata di Mkhitaryan si è visto Lautaro correre verso Inzaghi per fargli cambiare idea, era pronto Gossens ma è subentrato Brozovic, fosforo e non muscoli, dunque. Ed è stata questa l'identità differente tra le due squadre, l'Inter, favorita dal vantaggio d'andata, ha giocato di testa, aspettando e ripartendo perfida, il Milan non ha avuto idee spicce, è stato allora prevedibile, frenato da schemi prevedibili, affaticato nelle gambe, Pioli ha sbagliato troppo, anche nei cambi ritardati. La maturità dell'Inter, definita in quest'ultima parte della stagione, è una garanzia per il viaggio in Turchia. La Champions è giostra maligna, si smazzano ricordi ed emozioni forti, è un torneo che non ha eguali, vive di imprevisti, sbatte fuori club storici, il Bayern, altri di recente e fragile cronaca finanziaria, Psg, propone sorprese, prepara un futuro rivoluzionario dal 2024 ma, cambiando forma e formula, restano polpa e sostanza, è una banca che regala 140 milioni effettivi, più bigliettazione, diritti tv e marketing.
Prestigio e denari, il calcio oggi è questo, oltre la passione. L'Inter di questo aveva e ha bisogno, Istanbul è sua. Al Milan resta polvere acida, zero tituli direbbe Mourinho, un presente critico, un futuro improvvisamente incerto. E, forse, qualche colpo di scena.
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