Messi profana il Maracanà E ora il Brasile suda freddo

Nostro inviato a Rio de Janeiro
La prima partita del Maracanà ha preso vita solo al minuto 20 del secondo tempo, domenica sera. Quando Lionel Messi è partito con una delle sue progressioni da metà campo, ha triangolato con Higuain e si è portato a spasso 3 bosniaci prima di tirare secco col suo sinistro sul primo palo, carambola e gol. Lo stadio, con dentro i 40mila argentini che hanno invaso Rio più di qualunque altra tifoseria, è esploso perché non aspettava altro. La partita è iniziata e finita lì. È stato quello il primo gol di Messi al Maracanà. Verrà ricordato come quello di Didi, un etiope che giocava in Brasile e che ha segnato qui la prima rete in assoluto in un'amichevole tra paulisti e carioca il 16 giugno del 1950; o come il primo di Pelè, nel 4-0 con cui il Santos ha regolato l'America il 29 maggio del '57 e il primo di Zico, 23 settembre 1973, per il pareggio finale di un 2-2 in un derby tra Flamengo e Vasco. Anche perché un numero 10 argentino che va in gol da queste parti non è cosa comune. E Leo ha ieri avverato anche un sogno mai realizzato da Maradona: andatevi a rivedere come si dispera il Pibe de oro quando, il 14 luglio del 1989, al minuto 33 di Argentina-Uruguay per la Coppa America, sfiora un gol che sarebbe entrato nella storia, un pallonetto da metà campo che scavalca il portiere ma si stampa sulla traversa. Invece niente, né allora, né mai più.
La stampa brasiliana celebra, ma con distacco. Diversi opinionisti hanno scritto di «delusione» sia per gli albocelesti, sia per Messi. Ma non è che timore per la nazionale che fa più paura di tutte, perché il terzo titolo all'Argentina conquistato proprio al Maracanà sarebbe un'onta nazionale. In verità Messi ieri ha giocato bene, altroché. Quando la pulce non c'è, come sanno bene a Barcellona, è un'altra storia. Ieri non era così. Il suo piede sta anche nella prima rete, la punizione calciata per l'autogol dallo sciagurato terzino Kolasinac, che ha ucciso la partita già al secondo minuto. Per il resto del primo tempo Leo si è mosso da seconda punta di Aguero, seminando sempre un po' di scompiglio con le sue accelerazioni. Passeggiava poco oltre la linea di centro campo, in attesa della fase offensiva. Ed era poi l'unico che affondava il colpo, mentre a centrocampo e in difesa non mancavano agli argentini i discreti picchiatori per stroncare ogni velleità bosniaca. Ma Messi ha dato il meglio nel secondo tempo, quando il ct Alejandro Sabella ha messo in campo Higuain e lui ha giocato dietro alle due punte. Così, dopo un paio di assaggi, al minuto 20 è arrivato il guizzo che ha estasiato la Bombonera in trasferta a Rio de Janeiro e definitivamente intristito i tifosi balcanici, anche quelli finti: per ognuno di loro ce n'erano almeno 10 carioca, venuti al Maracanà per tifare contro l'Argentina e Messi. E soprattutto per esorcizzare le loro peggiori paure.
Per molti sarà stato anche possibile consolarsi lasciando il Maracanà, domenica sera: perché l'Argentina non era stata granché, con una difesa un po' lenta e fallosa; e perché senza l'autogol al minuto due sarebbe stata tutta un'altra cosa, e perché Messi non aveva brillato. A parte il gol. Peccato che proprio quel gol consiglia ai tifosi anti-argentini di non mentire a se stessi. L'impressione rimasta, ai neutrali, è che con i biancocelesti giochi il numero 10 più pericoloso di questa Coppa. Più di Neymar, più di Pirlo.
Il compassato Sabella, in conferenza stampa, lo ha detto 2-3 volte: «Messi è il miglior giocatore del mondo tra quelli in attività». Ma proprio per questo «serve un contesto di squadra e di gioco per valorizzarlo».

Ed è quello che si è visto domenica sera nel secondo tempo, con un vero numero 10 dietro due punte. Certo una formula molto offensiva e rischiosa per la difesa così così dei biancocelesti. Che su questi equilibri si giocherà la Coppa di Messi.

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