La rabbia e l'orgoglio. Si può riassumere così il sentimento di Angelo Binaghi, appena rieletto a capo della federazione tennis per il sesto mandato. L'orgoglio di essere riuscito a mettere in piedi gli Internazionali d'Italia nonostante tutto, la rabbia per la decisione di doverlo far disputare in un Foro Italico vuoto. Niente pubblico, «una decisione assurda che solo nel nostro Paese si poteva prendere. C'è una legge che prevede fino a 1000 spettatori per gli eventi con una delega alla chiusura concessa alle regioni in difficoltà, quelle del nord. Invece si è ribaltato tutto: in Lombardia e Emilia Romagna si riesce ad aprire, nel Lazio si danneggia la maggiore manifestazione sportiva».
Un'idiozia, ha detto. Conferma?
«Lei come la chiamerebbe? Sono stato anche leggero. Il nostro Centrale è all'aperto e contiene 11mila persone: ne avevamo chieste 1500. Ma se si mette una legge in mano a un idiota, esce l'idiozia...».
Si parte lo stesso.
«Resta la grande soddisfazione di aver lottato fin da marzo per esserci. Abbiamo fatto meglio di Spagna, Canada e Montecarlo e siamo alla pari di Usa e Francia. Che tra l'altro godono degli introiti di uno Slam. Credo che l'Atp debba considerare che chi è rimasto sul pezzo sono le federazioni nazionali. Mentre gli organizzatori privati sono fuggiti a gambe levate».
E in Italia aumentano i tornei.
«A cavallo degli Anni '80-'90 abbiamo perso spazio e credibilità. Oggi c'è di nuovo Palermo al femminile, ci sarà un Atp 250 in Sardegna e c'è questa cosa pazzesca di aver conquistato le Atp Finals dal 2021. La scossa è arrivata dalle finali Next Gen, grazie al gran lavoro fatto con Roma negli ultimi anni».
Ci saranno quest'anno?
«Dò una notizia: abbiamo rinunciato a organizzare un'edizione raffazzonata, ma l'Atp ci ha premiato prolungando il contratto fino al 2022».
L'Atp con a capo Andrea Gaudenzi.
«E con Carraro a guidare il World Padel. E poi siamo il Paese con più Challenge e Futures di tutto il circuito. Questo aumenta interesse e sponsor. E occasioni per i giovani».
Sicuro delle scelte fatte nel lockdown?
«Mi lasci spiegare bene. Siamo stati la prima federazione a destinare subito 4 milioni ai circoli, nonostante una manovra correttiva di 27 milioni. Il vero problema non sono Nadal, Djokovic o gli Internazionali, il problema più urgente è la tenuta delle società di base».
E riguardo alla cassa integrazione?
«Ecco, quella. Abbiamo preferito utilizzare l'aiuto della Stato per qualche centinaia di collaboratori, anche nomi noti, per dare risorse alle 3000 società di base e sostenere 10mila maestri e i lavoratori. Chi avrebbe fatto una scelta diversa?».
Detta così...
«Alla fine siamo stati un esempio anche per volley, basket, calcio. Quando si parla di riformare lo sport, c'è chi come il Coni chiede soldi per l'istituto di medicina. A noi di quello non frega niente: se non ci sono le società di base, non ci sono più le federazioni e non c'è più il Coni. Il momento è drammatico, bisogna concentrarsi sulle cose importanti e non sugli interessi di parte».
A proposito di riforma: lei da che parte sta?
«Io sono la Curva Sud della riforma dello sport. Credo sia una delle migliori cose fatte per lo sport da 20 anni e dal precedente governo. Ora c'è da approvare la legge delega: l'auspicio, al di là delle fesserie che vengono chieste, è che ci sia il massimo appoggio alla base».
Perché lo sport deve essere cambiato?
«Perché dati alla mano non esiste un mondo con un'inefficienza così conclamata come quello dello sport italiano. Nel quale per tenere in piedi federazioni senza risorse si danno 7mila euro per praticante. Uno scandalo in un Paese dove pochi mesi fa non si trovavano soldi per le terapie intensive».
Un discorso che sfiora la demagogia.
«Non è demagogia, è partire dai numeri: invece di dare denaro a consulenze e infrastrutture a federazioni che si moltiplicano, i fondi vadano all'utente finale. Quello sportivo è un mondo che negli ultimi 10 anni non ha saputo autoriformarsi. La riforma Giorgetti e la legge delega ci sono perché nessuno ha proposto un piano credibile».
Però, confessi: lei si sente un barone di una casta?
«Ah, la cosa mi fa sorridere. Rispondo dicendo che in un Paese normale chi governa dovrebbe dare l'esempio. Mi risulta che in Parlamento ci sia chi esercita la sua professione da molto più tempo rispetto a noi baroni. E se vedessimo il Pil prodotto dai governi che si sono succeduti rispetto a quello prodotto dalle nostre federazioni, avremmo qualcosa da dire».
Quindi non ha intenzione di farsi da parte.
«Io sarei felice di far parte di un cambiamento totale che parta dal Parlamento e che arrivi non solo alle nostre società private, ma anche a tutte le partecipate statali. Se si fa una legge, io sono il primo che rinuncio al mandato e torno a elezioni. Però...».
Dica.
«Noi abbiamo lottato per gli Internazionali per dare un esempio. Credo che questo valga in tutti i settori, a cominciare da quello della politica nazionale che non mi sembra abbia raggiunto grandi risultati all'estero negli ultimi 20 anni. E poi cambiare mi sembra il momento sbagliato: abbiamo il 50% in meno di fatturato e dobbiamo fare il 100% in più per le Atp Finals. Dovevano dirlo prima. Ora hanno 5 anni di tempo per formare una nuova classe dirigente: vediamo se ce la fanno».
Finiamo con il torneo. Djokovic c'è?
«E perché no? Senta, nella mia modestissima carriera agonistica mi è successa una cosa analoga: squalificato in un torneo di seconda categoria. Grave quello che ho fatto, gravissimo quello che è successo a lui a New York. Ma nel momento in cui ti parte la brocca, e sei pure sfigato, può succedere».
Roma lo ama ancora, insomma.
«Lui quest'anno ne ha fatte un po' e anche l'idea
dell'associazione giocatori per me è sbagliata nel momento in cui ci vuole unità. Ma preferisco ricordare la sua donazione anonima agli ospedali di Bergamo durante il momento più tragico dell'emergenza Covid. Roba da numero uno».
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