Calcio

"La mia partita del cuore, sognando Pelé..."

Il campione italo-brasiliano: "A Milano e Napoli i giorni più belli della carriera"

"La mia partita del cuore, sognando Pelé..."

Anno 1940, in una casa di Jaù (San Paolo) un bimbo di nome Angelo, biondo e dagli occhi chiari, ha appena compiuto un anno. Ancora non parla, ma nell'attimo in cui balbetta «pà-pà», suo padre esulta vittorioso, rivolgendosi alla moglie: «Hai sentito? Ha pronunciato prima pa-pà di ma-ma...». Peccato però che tanto entusiasmo paterno venga gelato sul nascere dalla tata italiana (di Rovigo per la precisione) del piccolo: «Macché pa-pà, ha solo detto pal-là, perché gioca sempre con la palla di stoffa che gli ho fatto io...». Quell'Angelo ha oggi 83 anni, di cognome fa Sormani, e vola con le ali dei ricordi. La tata aveva ragione, il suo destino non poteva che celarsi tra i fili di quella prima palla di pezza, divenuta poi di cuoio e rimbalzante di trionfi: dal Santos di Pelé al Milan al Napoli. Tra scudetti e coppe. Goleador, allenatore, commentatore tv e tanto altro.

Sormani, pronostico per Napoli-Milan di stasera?

«Impossibile. Io comunque vincerò e perderò nello stesso tempo».

In che senso?

«Con Milan e Napoli ho vissuto momenti memorabili: qui ho realizzato tutti i miei sogni».

Chi deciderà la partita?

«A far pendere l'ago della bilancia da una parte o dall'altra potrebbero essere le prestazioni di Osimhen e Leao».

Chi dei due assomiglia di più al suo amico Pelé?

«Nessuno. O Rey è unico. Ancora lo sogno».

Un aneddoto sulla coppa Pelé e Sormani (alias il «Pelé bianco»)?

«Giocavamo nel Santos. La società era molto severa e non vedeva di buon occhio le distrazioni, comprese quelle più innocenti. Ad esempio, ci toccava andare al cinema di nascosto».

E come aggiravate i divieti?

«Per non farci scoprire entravamo a luci spente e uscivamo con la sala ancora buia. Il problema nasceva quando il film era un giallo. Molte volte siamo sgattaiolati prima della fine, senza scoprire chi fosse l'assassino...».

Lei, da oriundo, si trasferì giovane in Italia. Giocando anche in nazionale.

«Io ero un oriundo vero. Mica come tanti altri... Tanto che dopo pochi mesi fui chiamato a fare il servizio di leva».

Ma i ragazzini che oggi frequentano le scuole-calcio sono più mollaccioni dei monellacci della sua generazione?

«Noi avevamo una fisicità diversa. Si giocava in strada 24 ore su 24 e ci arrampicavamo sugli alberi alti dieci metri. Il termine stanchezza era sconosciuto.

Adesso se un bimbo si allontana di mezzo metro, la mamma gli urla immediatamente: Torna subito qui!».

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