"La mia pazza favola olimpica? Sono quasi morto due volte"

Il pattinatore che a Salt Lake 2002 vinse per la caduta dei rivali: una volta persi 4 litri di sangue, misero 131 punti sulla gamba

"La mia pazza favola olimpica? Sono quasi morto due volte"

Salt Lake City, 16 febbraio 2002. Da pochi istanti è cominciata la finale dei 1000 metri di short track. Sono cinque gli atleti in lizza per l'oro olimpico. Anzi, dovremmo dire quattro più uno. «Fuori dalla lotta, quasi certamente c'è solo Steven Bradbury», così Franco Bragagna, commentatore Rai, ignaro come tutti di quanto sarebbe accaduto. E cioè che all'ultima curva, i quattro là davanti si scontrano e cadono mentre Bradbury, fin lì sempre ultimo e staccato, alla fine è il primo a tagliare il traguardo. Last Man Standing, l'ultimo uomo rimasto in piedi, come il titolo della sua autobiografia. È medaglia d'oro, la prima nella storia dell'Australia alle Olimpiadi invernali.

Steven, ci racconti quei pazzi 1000 metri.

«Ho corso con esperienza e giudizio. Sapevo che, essendo io il pattinatore più anziano, dopo aver affrontato batterie, quarti di finale e semifinali, alla quarta gara in meno di due ore non avrei avuto la forza di recuperare. Decisi di restare dietro e di attendere: sapevo che gli altri, in finale, avrebbero fatto di tutto pur di vincere, persino scontrarsi all'ultima curva, se necessario. Il che mi garantiva una minima chance di puntare almeno al bronzo. Non avrei mai immaginato che stare distaccato dagli altri avrebbe significato vincere una medaglia d'oro».

La sua vittoria di Salt Lake City è solo fortuna?

«Prima dell'edizione di Salt Lake City avevo messo al collo una medaglia di bronzo olimpica, più 1 oro, 1 argento e 1 bronzo ai mondiali. Per 14 anni mi sono allenato 5 ore al giorno, 6 giorni alla settimana: questa non è fortuna. La fortuna è ciò che accade quando la preparazione incontra l'opportunità».

Molti non sanno che lei è sopravvissuto a due gravi incidenti. L'oro vinto ripaga la sfortuna?

«Sono quasi morto in due occasioni: la prima volta dopo essermi tagliato una gamba e aver perso 4 litri di sangue, poi ricuciti con 131 punti di sutura; una seconda volta mi sono rotto il collo e sono fortunato a non essere su una sedia a rotelle. A Lillehammer, nel 1994, ero uno dei grandi favoriti per l'oro nei 1000m, ma sono uscito subito. Questo lo chiamo karma: quello che uno mette nel mondo poi è ciò che il mondo alla fine ti restituirà».

Che cosa le resta dell'oro olimpico di Salt Lake City?

«La mia storia viene raccontata nelle scuole e sono intervenuto a oltre 1350 conferenze ed eventi in 21 paesi (ma mai in Italia). Dopo quel trionfo, nel dizionario Macquarie è stata inserita l'espressione Doing A Bradbury, usata quando si parla di vittorie in seguito a circostanze miracolose. Ne sono orgoglioso!».

Anche nello short track, come nel calcio, hanno introdotto il Var.

«Sì, a partire dai Giochi di Torino 2006. Da allora il nostro sport è migliorato ma anche se nel 2002 ci fosse stato il Var avrei vinto lo stesso».

A Torino 2006 debuttò la nostra Arianna Fontana. Cosa pensa di lei?

«È un mito. L'ho incontrata un paio di volte, è una pattinatrice incredibile.

Per molti anni solo Elise Christie e Arianna sono state le uniche due pattinatrici in grado di sfidare il dominio della Corea del Sud e della Cina. Sarebbe fantastico condividere una birra con lei un giorno, ditele di cercarmi se mai verrà in Australia!».

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