
Una sola cosa in comune: il licenziamento dal Milan. Non altro. Stop, fine della trasmissione. Ma c'è il derby, c'è Torino con i suoi nuovi, ultimi vapori e profumi. Mihajlovic Sinisa e Allegri Massimiliano due modi diversi di stare al mondo e di vivere il football. Ma che nessuno si permetta di stuzzicarli. Sono professionisti di razza, allenatori per destino, già da calciatori lo erano, seguendo istinto e maestri. Figure di presepi lontanissimi tra loro.
Senza il football, Sinisa sarebbe diventato un lestofante, forse un ladro o avrebbe fatto a cazzotti sui ring della sua patria Serbia. Massimiliano no, è un livornese sghembo, al punto da tradire la terra madre per giocare nel Pisa, vituperio delle genti già per il sommo Alighieri. Ma non è questo il problema. I piedi di Mihajlovic erano, sono ancora, potenti e diabolici. Quelli di Allegri meno feroci ma forse più raffinati. Calciatori di mezzocampo, trequartisti rivisti e corretti, Sinisa uomo spogliatoio e vulcano vero in campo, prima, in panchina dopo. Al Torino credono di avere ritrovato le furie di Gustavo Giagnoni, l'uomo del colbacco, quello che si ribellò a madama Juventus e ai suoi signorotti, chiamandoli rigatini per via della divisa da camerieri o carcerati, a scegliere, comunque sempre gobbi. Quel Toro sarebbe rinato nel piglio e poi Radice l'avrebbe reso tremendista, secondo neologismo di Giovanni Arpino. Giagnoni e Radice sono memorie delicate, oggi, affetti e afflitti da mali cattivi ma la loro storia ritorna nelle voci del derby, grazie a questo omone serbo che cita Kennedy e legge Proust ma non dimentica mai la strada, la tragedia della guerra e l'amicizia con Seljko Raznatovic detto Arkan e con il generale Ratko Mladic, due criminali di quel conflitto, per lui eroi e maestri che gli procurarono danni sui media di ogni dove.
Massimiliano detto Max, viene da una città di falce e martello ma mai lo avete sentire professare politica e slogan di piazza. La pronuncia dialettale, a volte sguaiata, gli è rimasta in bocca ma mai il linguaggio, mai la polemica bruta e brutta, anzi, nel dopo partita, presenta una compostezza opposta ai fumi mostrati durante il gioco. Undici anni fa prese il diplomino a Coverciano con una tesi che oggi sembra azzeccatissima, se non buffa, per il titolo e i guai bianconeri: Caratteristiche dei tre centrocampisti in un centrocampo a tre. Cito un passaggio che sembra un destino per Max: «Sono stato costretto a fare di necessità virtù per quanto riguardava la scelta di un modulo di gioco, giacché non conoscevo tutte le caratteristiche dei singoli giocatori che la società, SPAL, aveva messo a mia disposizione; ho, infatti, raggiunto la squadra solo il giorno precedente a quello in cui la squadra stessa è partita per il ritiro. Ho quindi dovuto impiegare un po' di tempo prima di scegliere il modulo con cui far giocare la squadra, in modo da poter sfruttare al meglio le potenzialità dei singoli giocatori a mano a mano che avevo modo di conoscerle». Sostituendo Spal con Juventus, e ripensando al dopo Conte, il prodotto non cambia. Dopo Conte, sempre, comunque, le vedove del salentino frignano quando la Juventus gioca male, maluccio, malissimo. Ma se la spassano dopo due scudetti, forse il terzo, chissà la Champions.
Mihajlovic ha avuto percorsi tortuosi, spesso scelti per passione, cuore, voglia di ribadire carattere e capacità, Genova con la Sampdoria, uno di questi, ma pure il Milan ondivago. E il Toro infine, stazioni quasi obbligate e obbligatorie, con tutto quello che il mondo granata si porta appresso, da sempre, per fede, nostalgia, orgoglio. Ha vinto parecchio, da calciatore, tutto quello che c'era da prendere, scudetti in Jugoslavia e in Italia, Stella Rossa, Lazio, Inter.
Ha preso a calci palloni e bottigliette, ha voglia di smacchiare la zebra, così come Allegri, con minore enfasi, vorrebbe ridurre il Toro a semplice bovino d'allevamento, evitando la corrida. Il derby è anche roba loro, ma, soprattutto, di molti sodali di Roma, Milano e Napoli: Spalletti, Montella e Sarri aspettano novità molto natalizie.